Questa Comèdie di via Negri comincia così: “Ai soldi ho sempre guardato, sarà perché sono nato povero. Mio padre è morto quando avevo sei anni: ho solo qualche flash, sfocato, di lui. Mia madre aveva tre figli e ha dovuto lavorare sempre: siamo cresciuti così, un po’ per conto nostro. Ho fatto le medie al liceo ginnasio, poi io ho fatto tutto da solo, perché a 14 anni e mezzo ho cominciato a lavorare. Sono stato assunto come il fattorino in un negozio di cristalli”.
Vittorio Feltri si accomoda alla sua scrivania, da cui fatica parecchio a stare lontano. Sopra la libreria c’è un busto di Mussolini, così in alto che tocca il soffitto: “Per me, nato nel 1943, l’antifascismo non è mai stato in discussione. Il busto l’ha mandato un oste, simpatico ma fascistissimo. L’ho messo lì per non vederlo”.
Dopo il negozio di cristalli?
Sono passato a una bottega di confezioni, intanto ho fatto un corso di vetrinista. Una cosa che mi ha poi aiutato anche in questo mestiere, perché fare una vetrina è come fare una prima pagina. Fidati, è la stessa cosa. Siamo verso la fine degli anni Cinquanta: era abbastanza facile trovare lavoro, però bisognava lavorare. Ho preso questo diplomino che ancora conservo. Mentre la laurea superflua in Scienze politiche non ricordo dove l’ho messa.
“Al denaro ho sempre badato: sono nato povero. Ho cominciato a lavorare a 14 anni, poi sono stato assunto in Provincia: il capostipite dei fannulloni”
Ha continuato a studiare?
Sì, ma da solo. Ho fatto un concorso in Provincia, sai quell’ente che hanno fatto finta di abolire? Sono arrivato quarto, la commissione non aveva nessuna voglia di prendere uno come me: c’era gente più vecchia, che aveva famiglia. Ho fatto un tema d’italiano che è andato un po’ oltre le aspettative… Sono stato il capostipite dei fannulloni. Ed ero l’unico, perché lì lavoravano tutti bene, i bilanci erano perfetti, la prefettura controllava anche le virgole. Però a me non piaceva, mi annoiavo. Allora ho cominciato a collaborare all’Eco di Bergamo. Un mio collega impiegato faceva anche il critico cinematografico. A me del cinema non fregava nulla, non avevo nessuna cultura. Mi piacevano i giornali, da morire. Così ho iniziato come vice critico cinematografico.
Quanti anni aveva?
Una ventina. Poi mi sono sposato, perché ho messo incinta una ragazza. Allora questi incidenti capitavano frequentemente. Le ragazze mi piacevano, lì in Provincia ce n’erano molte, è stato un pascolo notevole. Dopodiché conosco questa ragazza, mi piace da morire, la metto incinta: due gemelle! Ma lei è morta, in conseguenza del parto. È stato uno choc terrificante: non sapevo cosa fare, dove mettere queste bambine. Nel frattempo ero stato trasferito al brefotrofio, gestito dalla Provincia come il manicomio. Allora lì ci ho portato le mie bambine. Una delle responsabili della struttura era una signora giovane. Teneva anche le mie gemelle, le guardava, le curava: l’ho sposata. Lei non mi voleva, l’ho corteggiata a lungo e poi alla fine ce l’ho fatta. E ha preso le bambine, le ha fatte diventare grandi: sono legatissime alla madre, culo e camicia. Da lei ho avuto Mattia e per ultima Fiorenza, che è arrivata per caso.
Torniamo ai giornali: l’Eco di Bergamo l’ha assunta?
Macché, assumevano sempre gli altri. Anche allora funzionavano molto le raccomandazioni: io non ne avevo. Poi era il giornale della Curia, io ero socialista, per quei tempi praticamente un brigatista. Un collega che mi stimava mi ha segnalato alla Notte: cercavano un praticante. Così ho attenuto un colloquio con il direttore, Nino Nutrizio, un tipo che dava del voi e metteva parecchia soggezione. Avevo i battiti cardiaci a 240. A bruciapelo mi fa: “Collaborate da anni con l’Eco di Bergamo e non vi hanno ancora assunto: non sarà che siete cretino?”.
“All’Eco di Bergamo assumevano sempre gli altri. Anche allora funzionavano molto le raccomandazioni: io non ne avevo. Poi era il giornale della Curia, io ero socialista, per quei tempi praticamente un brigatista”
E lei?
Silenzio. “Vabbè: l’Eco non vi ha preso, ma essendo uno dei giornali più inutili al mondo il dubbio è molto forte. Vi metto alla prova: tre mesi alla redazione staccata di Bergamo, se supererete la prova entrerete in pianta stabile. Se no, tanto vale cambiar mestiere. In ogni caso sarà un bene per voi e per noi, che di cretini ne abbiamo già abbastanza”.
La prova, c’è da immaginarsi, è andata bene.
Prima di Natale il mio capo mi aveva lasciato in gestione la baracca. Ero un po’ spaventato, però subito succede un fattaccio: una prostituta viene accoltellata in casa dal fidanzato, davanti a una bambina di tre anni, mentre affettava il panettone. Scrivo il pezzo e lo mando fuori sacco. Nessuno mi dice niente. Alle due del pomeriggio vado in edicola e prendo in mano la pagina bergamasca della Notte – che come quella di Brescia era l’ultima pagina… Niente, non c’è un cazzo. Disperazione! Neanche una breve… Poi giro il giornale, con un automatismo, avevo i lucciconi agli occhi. E vedo Vittorio Feltri in prima pagina! Il titolone di apertura, non avevano cambiato neanche una virgola. Squilla il telefono, dall’altra parte c’è la segretaria di Nutrizio, che poi ho preso a Libero: “Il direttore ti deve parlare”. E mi fa: “Contrariamente a quanto temevo avete superato la prova. Il vostro pezzo di questa mattina è stato di mio pieno gradimento. Siete assunto ma non montatevi la testa, perché siete solo un cronista e tale rimarrete per tutta la vita”.
Resta lì fino al ’74, giusto?
Quando Indro ha fondato il Giornale, ha svuotato il Corriere e la sua edizione pomeridiana, il Corriere dell’Informazione, dove sono stato preso. Quando sono andato a dire a Nutrizio che me ne andavo mi ha dato dell’infame. Poi ho saputo che era stato lui a segnalarmi! Nel ’77 sono passato al Corriere della Sera, fino all’83. Un anno prima era arrivato Cavallari: non ci sopportavamo. Mi hanno offerto la direzione di Bergamo Oggi, ho detto sì. Dopodiché in via Solferino c’è stato un cambio della guardia. E io sono tornato, con un espediente stupendo: ho pubblicato sul mio giornale il primo fondo di Ostellino.
“Il direttore della Notte che mi fece il primo colloquio mi chiese: ‘Collaborate con l’Eco e non vi hanno ancora assunto: non sarà che siete cretino?'”
Scusi, ma veramente l’ha fatto apposta?
Certo che sì. Lui la mattina dopo mi ha telefonato: “Per te le porte di via Solferino sono sempre aperte”. Mi sono presentato ed effettivamente le ho trovate aperte. Ostellino si è messo a ridere e mi ha assunto. Dopo me ne sono andato per fare il direttore dell’Europeo. Dove ad attendermi, come benvenuto, i colleghi hanno fatto due mesi di sciopero, un record mondiale. Mi è salita la pressione a livelli…
Le redazioni non scelgono e non cacciano i direttori: è cosa nota.
Mi ritenevano politicamente non omogeneo e probabilmente mi consideravano un cretino. Magari non a torto. Non ero più socialista da anni, ma mi avevano attribuito la patente di craxiano: sul Corriere della Sera facevo l’anticomunista. Comunque all’inizio non è stato semplice: settimanale e quotidiano sono mondi separati.
Poi l’Indipendente?
L’Indipendente l’aveva fondato nel ’91 Ricardo Franco Levi – con una C sola, lo chiamavamo ‘il refuso’ – che voleva un giornale elegante, una sala da tè inglese. Infatti non vendeva una copia. Gli editori, disperati, mi hanno chiesto se volevo tentare di resuscitarlo. Avevo fatto decollare l’Europeo: il fenomeno Lega era all’inizio, ma io ero molto attento. Tant’è vero che, ancora oggi!, mi accusano di essere leghista. Quando sono andato all’Indi, l’ho cambiato completamente: da sala da tè l’ho trasformato in una trattoria. Ho sfruttato tantissimo Mani Pulite. Quando è arrivata la notizia di Chiesa, l’ho pompata subito. Ero amico di Di Pietro…
“Ero amico di Di Pietro. Mi dava delle notizie pazzesche. E quando è scoppiato Mani Pulite mi ha chiesto di dargli una mano”
Perché era amico di Di Pietro?
Era stato a Bergamo a fare il pm: mi dava delle notizie pazzesche. Quando è scoppiata Tangentopoli, Di Pietro mi ha chiesto di dargli una mano. Gli ho fatto un’intervista, e sono diventato una specie di organo ufficiale di Mani Pulite. Ci ho dato dentro, con titoli tipo ‘Sgominata un’altra giunta, evviva!’. Il giornale ha cominciato a crescere. Insomma, quando sono arrivato io erano a 17mila copie. Dopo cinque-sei mesi, viaggiavamo verso le 60mila.
Merito anche dei giornalisti.
Certo, sennò non vai da nessuna parte. Da solo non fai niente, sei solo la ciliegina sulla torta. Sono stato da Maurizio Costanzo a fare Uno contro tutti. Quella sera ero in forma, gli altri sapevano poco delle vicende di Milano. Ho fatto il padrone: quella puntata mi ha portato 20mila copie, non le ho più perse. Per fartela breve, quando sono venuto via dall’Indipendente per sostituire Montanelli, l’Indipendente aveva superato il Giornale, come quantità di copie: più di 120mila.
Qui casca l’asino. Massimo Fini dice: hai tradito per soldi, ti sei venduto. E poi: “Feltri ha la moralità di una biscia”.
Con Massimo ho conservato, nonostante tutto, un buon rapporto. Ma non esiste vendersi, perché io faccio il giornalista e come giornalista vado dove voglio. Non è una missione fare il direttore di un giornale, mentre Fini è convinto che sia come fare il prete. È una professione, vado dove conviene a me, non a Fini o ai miei colleghi.
L’obiezione è: dirigeva un giornale bellissimo, è andato da Berlusconi nel momento peggiore, quello della discesa in campo.
A me interessava sostituire Montanelli. Non è vero che ho avuto trattative prima. Berlusconi mi aveva fatto proposte assurde, persino quella di dirigere il TG5, quando c’era già Mentana. Figurati se potevo fare una roba del genere. Quando Montanelli se n’è andato, mi hanno chiamato: ho parlato con Berlusconi Silvio e con Berlusconi Paolo. Mi sono fatto pagare bene. Non che guadagnassi male dall’altra parte: 500 milioni. E qui un miliardo.
“Mi piaceva l’idea di sostituire Montanelli e di mantenere le copie di Montanelli. E sono raddoppiate. Io non mi sto dando delle arie, perché le opinioni si discutono, i fatti no”
Beh, pas mal: il doppio.
Un miliardo, nel ’94, hai presente che cos’era? E chi è lo scemo che ci sputa su? Io non l’ho mai fatto diventare un house organ di Berlusconi, tant’è che a me neanche mi chiamava Berlusconi. Ma subito, l’estate successiva, mi volevano cacciare per opera di Giuliano Ferrara.
Cioè?
Infuriava Mani Pulite. E il ministro della Giustizia del governo Berlusconi voleva fare il colpo di spugna, il decreto Biondi. Feci un fondo, dicendo che era una fregnaccia, il momento era sbagliato, sarebbe successo un casino: avevo ragione. Se avessi fatto l’house organ mica pubblicavo quell’articolo.
Montanelli era un totem. Nel prendere il suo posto, non ha avuto nessun timore, nessun rimorso?
Me la facevo addosso addirittura. Ma era questa sfida che mi piaceva e che Fini non ha capito: a me piaceva l’idea di sostituire Montanelli e di mantenere le copie di Montanelli. E sono raddoppiate. Io non mi sto dando delle arie, perché le opinioni si discutono, i fatti no.
Comunque il punto è: dirigeva il giornale di proprietà del presidente del Consiglio.
Mica dicevo che Berlusconi era un cornuto. Come alla Stampa: non ho mai visto un articolo che dicesse ‘le Fiat sono bare a rotelle’. Perché, il Corriere non è un house organ?
Il problema dell’editoria italiana è che non esiste l’editore puro.
Infatti, poi ho fondato Libero. Me ne sono andato perché ne avevo piene le balle. Dopo quattro anni… I giornali sono come le donne, a un certo punto ti stufi. Avevo capito che la situazione stava marcendo e me ne sono andato.
Poi è cominciata la staffetta con Belpietro.
Il giovane Belpietro, l’avevo scoperto a Bergamo oggi ed era diventato il mio uomo di riferimento. Mi ha seguito all’Europeo, all’Indipendente e al Giornale.
“A forza di tagliare fette, da Casini a Fini alla Meloni, del centrodestra è rimasto il culetto. Dove vai col culetto, scusa?”
Col senno di poi che dice della vicenda Boffo?
È una cosa successa sei anni fa, una vicenda gestita male anche perché non l’ho gestita. Arriva Sallusti – che era il mio condirettore, non il fattorino del giornale – e mi racconta questa cosa, io dico “Ma sei sicuro?” – “Sì, sono sicurissimo”.
È vero che ha battezzato Sallusti e la Santanchè “Olindo e Rosa”?
Una battuta infelice. Però l’ho fatta, non posso negare.
Berlusconi è politicamente morto?
Mi sembra del tutto evidente. Che poi non ci stia a morire è del tutto normale. Anzi, ha ancora delle reazioni abbastanza vitali. Però la situazione e quella che è. Il centrodestra, nel 2008, era un bel salame. La prima fetta la taglia Casini, che se ne va. La seconda Fini. La terza fetta l’ha tagliata Alfano. Poi, altra fetta la Meloni, insieme con quello…La Russa. A Berlusconi è rimasto il culetto. So che a lui piace il culetto, però è il culetto. Quindi adesso il salamone è diventato un culetto. Dove vai col culetto, scusa?
Renzi.
Ho fatto il tifo per lui quando doveva diventare segretario del Pd, mi sembrava se non altro un innovatore. Ma era un innovatore per finta, si è comportato come un qualsiasi Enrico Letta, come un Monti. Dice ‘faremo questo, faremo quello’, ma i risultati non arrivano. È riuscito a non usare uno come Bersani, che gli poteva evitare la figura di merda che ha fatto in Liguria. E non l’avrebbe mai messa la Moretti in Veneto, capisci? Questo ragazzotto non è neanche cinico abbastanza per usare le persone. No, le attacca e le mette in un angolino. E allora perdi.
“Mi piace fare questo mestiere, fa bene anche alla salute: tu dici quello che pensi. Ma chi è che ha questo privilegio? Peccato che oggi non ti legge più nessuno”
Ma che sindrome è questa?
Di onnipotenza. E di presunzione. Di faso tuto mi. Berlusconi è un po’ così. È come nei giornali: io non ho mai pensato di far tutto io…
Come sta il giornalismo?
Siamo abituati a fare quotidiani-supermercato. Quando ho cominciato, il giornale doveva aver tutto. Oggi ci sono notizie dappertutto. Però a me piace scrivere. Per me è salutare anche se ho una mezza idea, intera non ce l’ho mai. Poi, se riesco a rileggere il pezzo, se c’è una cacofonia, una ripetizione – capita, no? – se riesco a correggerlo, perché quando lo rileggo la mattina e va via liscio, sono contento. Per poco, per cinque minuti, poi devo pensare a qualcos’altro. Però mi piace fare questo mestiere, fa bene anche alla salute: tu dici quello che pensi. Ma chi è che ha questo privilegio? Peccato che oggi non ti legge più nessuno.
da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2015
Media & Regime
Vittorio Feltri: “Per me i giornali sono come le donne, dopo un po’ mi stufo”
Il direttore editoriale de Il Giornale al Fatto Quotidiano: "Venduto a B.? Mi ha dato un miliardo: chi ci avrebbe sputato su?". E di Matteo Renzi dice: "Ho fatto il tifo per lui, ma è un innovatore per finta, si è comportato come un qualsiasi Enrico Letta. E ha la sindrome di onnipotenza"
Questa Comèdie di via Negri comincia così: “Ai soldi ho sempre guardato, sarà perché sono nato povero. Mio padre è morto quando avevo sei anni: ho solo qualche flash, sfocato, di lui. Mia madre aveva tre figli e ha dovuto lavorare sempre: siamo cresciuti così, un po’ per conto nostro. Ho fatto le medie al liceo ginnasio, poi io ho fatto tutto da solo, perché a 14 anni e mezzo ho cominciato a lavorare. Sono stato assunto come il fattorino in un negozio di cristalli”.
Vittorio Feltri si accomoda alla sua scrivania, da cui fatica parecchio a stare lontano. Sopra la libreria c’è un busto di Mussolini, così in alto che tocca il soffitto: “Per me, nato nel 1943, l’antifascismo non è mai stato in discussione. Il busto l’ha mandato un oste, simpatico ma fascistissimo. L’ho messo lì per non vederlo”.
Dopo il negozio di cristalli?
Sono passato a una bottega di confezioni, intanto ho fatto un corso di vetrinista. Una cosa che mi ha poi aiutato anche in questo mestiere, perché fare una vetrina è come fare una prima pagina. Fidati, è la stessa cosa. Siamo verso la fine degli anni Cinquanta: era abbastanza facile trovare lavoro, però bisognava lavorare. Ho preso questo diplomino che ancora conservo. Mentre la laurea superflua in Scienze politiche non ricordo dove l’ho messa.
Ha continuato a studiare?
Sì, ma da solo. Ho fatto un concorso in Provincia, sai quell’ente che hanno fatto finta di abolire? Sono arrivato quarto, la commissione non aveva nessuna voglia di prendere uno come me: c’era gente più vecchia, che aveva famiglia. Ho fatto un tema d’italiano che è andato un po’ oltre le aspettative… Sono stato il capostipite dei fannulloni. Ed ero l’unico, perché lì lavoravano tutti bene, i bilanci erano perfetti, la prefettura controllava anche le virgole. Però a me non piaceva, mi annoiavo. Allora ho cominciato a collaborare all’Eco di Bergamo. Un mio collega impiegato faceva anche il critico cinematografico. A me del cinema non fregava nulla, non avevo nessuna cultura. Mi piacevano i giornali, da morire. Così ho iniziato come vice critico cinematografico.
Quanti anni aveva?
Una ventina. Poi mi sono sposato, perché ho messo incinta una ragazza. Allora questi incidenti capitavano frequentemente. Le ragazze mi piacevano, lì in Provincia ce n’erano molte, è stato un pascolo notevole. Dopodiché conosco questa ragazza, mi piace da morire, la metto incinta: due gemelle! Ma lei è morta, in conseguenza del parto. È stato uno choc terrificante: non sapevo cosa fare, dove mettere queste bambine. Nel frattempo ero stato trasferito al brefotrofio, gestito dalla Provincia come il manicomio. Allora lì ci ho portato le mie bambine. Una delle responsabili della struttura era una signora giovane. Teneva anche le mie gemelle, le guardava, le curava: l’ho sposata. Lei non mi voleva, l’ho corteggiata a lungo e poi alla fine ce l’ho fatta. E ha preso le bambine, le ha fatte diventare grandi: sono legatissime alla madre, culo e camicia. Da lei ho avuto Mattia e per ultima Fiorenza, che è arrivata per caso.
Torniamo ai giornali: l’Eco di Bergamo l’ha assunta?
Macché, assumevano sempre gli altri. Anche allora funzionavano molto le raccomandazioni: io non ne avevo. Poi era il giornale della Curia, io ero socialista, per quei tempi praticamente un brigatista. Un collega che mi stimava mi ha segnalato alla Notte: cercavano un praticante. Così ho attenuto un colloquio con il direttore, Nino Nutrizio, un tipo che dava del voi e metteva parecchia soggezione. Avevo i battiti cardiaci a 240. A bruciapelo mi fa: “Collaborate da anni con l’Eco di Bergamo e non vi hanno ancora assunto: non sarà che siete cretino?”.
E lei?
Silenzio. “Vabbè: l’Eco non vi ha preso, ma essendo uno dei giornali più inutili al mondo il dubbio è molto forte. Vi metto alla prova: tre mesi alla redazione staccata di Bergamo, se supererete la prova entrerete in pianta stabile. Se no, tanto vale cambiar mestiere. In ogni caso sarà un bene per voi e per noi, che di cretini ne abbiamo già abbastanza”.
La prova, c’è da immaginarsi, è andata bene.
Prima di Natale il mio capo mi aveva lasciato in gestione la baracca. Ero un po’ spaventato, però subito succede un fattaccio: una prostituta viene accoltellata in casa dal fidanzato, davanti a una bambina di tre anni, mentre affettava il panettone. Scrivo il pezzo e lo mando fuori sacco. Nessuno mi dice niente. Alle due del pomeriggio vado in edicola e prendo in mano la pagina bergamasca della Notte – che come quella di Brescia era l’ultima pagina… Niente, non c’è un cazzo. Disperazione! Neanche una breve… Poi giro il giornale, con un automatismo, avevo i lucciconi agli occhi. E vedo Vittorio Feltri in prima pagina! Il titolone di apertura, non avevano cambiato neanche una virgola. Squilla il telefono, dall’altra parte c’è la segretaria di Nutrizio, che poi ho preso a Libero: “Il direttore ti deve parlare”. E mi fa: “Contrariamente a quanto temevo avete superato la prova. Il vostro pezzo di questa mattina è stato di mio pieno gradimento. Siete assunto ma non montatevi la testa, perché siete solo un cronista e tale rimarrete per tutta la vita”.
Resta lì fino al ’74, giusto?
Quando Indro ha fondato il Giornale, ha svuotato il Corriere e la sua edizione pomeridiana, il Corriere dell’Informazione, dove sono stato preso. Quando sono andato a dire a Nutrizio che me ne andavo mi ha dato dell’infame. Poi ho saputo che era stato lui a segnalarmi! Nel ’77 sono passato al Corriere della Sera, fino all’83. Un anno prima era arrivato Cavallari: non ci sopportavamo. Mi hanno offerto la direzione di Bergamo Oggi, ho detto sì. Dopodiché in via Solferino c’è stato un cambio della guardia. E io sono tornato, con un espediente stupendo: ho pubblicato sul mio giornale il primo fondo di Ostellino.
Scusi, ma veramente l’ha fatto apposta?
Certo che sì. Lui la mattina dopo mi ha telefonato: “Per te le porte di via Solferino sono sempre aperte”. Mi sono presentato ed effettivamente le ho trovate aperte. Ostellino si è messo a ridere e mi ha assunto. Dopo me ne sono andato per fare il direttore dell’Europeo. Dove ad attendermi, come benvenuto, i colleghi hanno fatto due mesi di sciopero, un record mondiale. Mi è salita la pressione a livelli…
Le redazioni non scelgono e non cacciano i direttori: è cosa nota.
Mi ritenevano politicamente non omogeneo e probabilmente mi consideravano un cretino. Magari non a torto. Non ero più socialista da anni, ma mi avevano attribuito la patente di craxiano: sul Corriere della Sera facevo l’anticomunista. Comunque all’inizio non è stato semplice: settimanale e quotidiano sono mondi separati.
Poi l’Indipendente?
L’Indipendente l’aveva fondato nel ’91 Ricardo Franco Levi – con una C sola, lo chiamavamo ‘il refuso’ – che voleva un giornale elegante, una sala da tè inglese. Infatti non vendeva una copia. Gli editori, disperati, mi hanno chiesto se volevo tentare di resuscitarlo. Avevo fatto decollare l’Europeo: il fenomeno Lega era all’inizio, ma io ero molto attento. Tant’è vero che, ancora oggi!, mi accusano di essere leghista. Quando sono andato all’Indi, l’ho cambiato completamente: da sala da tè l’ho trasformato in una trattoria. Ho sfruttato tantissimo Mani Pulite. Quando è arrivata la notizia di Chiesa, l’ho pompata subito. Ero amico di Di Pietro…
Perché era amico di Di Pietro?
Era stato a Bergamo a fare il pm: mi dava delle notizie pazzesche. Quando è scoppiata Tangentopoli, Di Pietro mi ha chiesto di dargli una mano. Gli ho fatto un’intervista, e sono diventato una specie di organo ufficiale di Mani Pulite. Ci ho dato dentro, con titoli tipo ‘Sgominata un’altra giunta, evviva!’. Il giornale ha cominciato a crescere. Insomma, quando sono arrivato io erano a 17mila copie. Dopo cinque-sei mesi, viaggiavamo verso le 60mila.
Merito anche dei giornalisti.
Certo, sennò non vai da nessuna parte. Da solo non fai niente, sei solo la ciliegina sulla torta. Sono stato da Maurizio Costanzo a fare Uno contro tutti. Quella sera ero in forma, gli altri sapevano poco delle vicende di Milano. Ho fatto il padrone: quella puntata mi ha portato 20mila copie, non le ho più perse. Per fartela breve, quando sono venuto via dall’Indipendente per sostituire Montanelli, l’Indipendente aveva superato il Giornale, come quantità di copie: più di 120mila.
Qui casca l’asino. Massimo Fini dice: hai tradito per soldi, ti sei venduto. E poi: “Feltri ha la moralità di una biscia”.
Con Massimo ho conservato, nonostante tutto, un buon rapporto. Ma non esiste vendersi, perché io faccio il giornalista e come giornalista vado dove voglio. Non è una missione fare il direttore di un giornale, mentre Fini è convinto che sia come fare il prete. È una professione, vado dove conviene a me, non a Fini o ai miei colleghi.
L’obiezione è: dirigeva un giornale bellissimo, è andato da Berlusconi nel momento peggiore, quello della discesa in campo.
A me interessava sostituire Montanelli. Non è vero che ho avuto trattative prima. Berlusconi mi aveva fatto proposte assurde, persino quella di dirigere il TG5, quando c’era già Mentana. Figurati se potevo fare una roba del genere. Quando Montanelli se n’è andato, mi hanno chiamato: ho parlato con Berlusconi Silvio e con Berlusconi Paolo. Mi sono fatto pagare bene. Non che guadagnassi male dall’altra parte: 500 milioni. E qui un miliardo.
Beh, pas mal: il doppio.
Un miliardo, nel ’94, hai presente che cos’era? E chi è lo scemo che ci sputa su? Io non l’ho mai fatto diventare un house organ di Berlusconi, tant’è che a me neanche mi chiamava Berlusconi. Ma subito, l’estate successiva, mi volevano cacciare per opera di Giuliano Ferrara.
Cioè?
Infuriava Mani Pulite. E il ministro della Giustizia del governo Berlusconi voleva fare il colpo di spugna, il decreto Biondi. Feci un fondo, dicendo che era una fregnaccia, il momento era sbagliato, sarebbe successo un casino: avevo ragione. Se avessi fatto l’house organ mica pubblicavo quell’articolo.
Montanelli era un totem. Nel prendere il suo posto, non ha avuto nessun timore, nessun rimorso?
Me la facevo addosso addirittura. Ma era questa sfida che mi piaceva e che Fini non ha capito: a me piaceva l’idea di sostituire Montanelli e di mantenere le copie di Montanelli. E sono raddoppiate. Io non mi sto dando delle arie, perché le opinioni si discutono, i fatti no.
Comunque il punto è: dirigeva il giornale di proprietà del presidente del Consiglio.
Mica dicevo che Berlusconi era un cornuto. Come alla Stampa: non ho mai visto un articolo che dicesse ‘le Fiat sono bare a rotelle’. Perché, il Corriere non è un house organ?
Il problema dell’editoria italiana è che non esiste l’editore puro.
Infatti, poi ho fondato Libero. Me ne sono andato perché ne avevo piene le balle. Dopo quattro anni… I giornali sono come le donne, a un certo punto ti stufi. Avevo capito che la situazione stava marcendo e me ne sono andato.
Poi è cominciata la staffetta con Belpietro.
Il giovane Belpietro, l’avevo scoperto a Bergamo oggi ed era diventato il mio uomo di riferimento. Mi ha seguito all’Europeo, all’Indipendente e al Giornale.
Col senno di poi che dice della vicenda Boffo?
È una cosa successa sei anni fa, una vicenda gestita male anche perché non l’ho gestita. Arriva Sallusti – che era il mio condirettore, non il fattorino del giornale – e mi racconta questa cosa, io dico “Ma sei sicuro?” – “Sì, sono sicurissimo”.
È vero che ha battezzato Sallusti e la Santanchè “Olindo e Rosa”?
Una battuta infelice. Però l’ho fatta, non posso negare.
Berlusconi è politicamente morto?
Mi sembra del tutto evidente. Che poi non ci stia a morire è del tutto normale. Anzi, ha ancora delle reazioni abbastanza vitali. Però la situazione e quella che è. Il centrodestra, nel 2008, era un bel salame. La prima fetta la taglia Casini, che se ne va. La seconda Fini. La terza fetta l’ha tagliata Alfano. Poi, altra fetta la Meloni, insieme con quello…La Russa. A Berlusconi è rimasto il culetto. So che a lui piace il culetto, però è il culetto. Quindi adesso il salamone è diventato un culetto. Dove vai col culetto, scusa?
Renzi.
Ho fatto il tifo per lui quando doveva diventare segretario del Pd, mi sembrava se non altro un innovatore. Ma era un innovatore per finta, si è comportato come un qualsiasi Enrico Letta, come un Monti. Dice ‘faremo questo, faremo quello’, ma i risultati non arrivano. È riuscito a non usare uno come Bersani, che gli poteva evitare la figura di merda che ha fatto in Liguria. E non l’avrebbe mai messa la Moretti in Veneto, capisci? Questo ragazzotto non è neanche cinico abbastanza per usare le persone. No, le attacca e le mette in un angolino. E allora perdi.
Ma che sindrome è questa?
Di onnipotenza. E di presunzione. Di faso tuto mi. Berlusconi è un po’ così. È come nei giornali: io non ho mai pensato di far tutto io…
Come sta il giornalismo?
Siamo abituati a fare quotidiani-supermercato. Quando ho cominciato, il giornale doveva aver tutto. Oggi ci sono notizie dappertutto. Però a me piace scrivere. Per me è salutare anche se ho una mezza idea, intera non ce l’ho mai. Poi, se riesco a rileggere il pezzo, se c’è una cacofonia, una ripetizione – capita, no? – se riesco a correggerlo, perché quando lo rileggo la mattina e va via liscio, sono contento. Per poco, per cinque minuti, poi devo pensare a qualcos’altro. Però mi piace fare questo mestiere, fa bene anche alla salute: tu dici quello che pensi. Ma chi è che ha questo privilegio? Peccato che oggi non ti legge più nessuno.
da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2015
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Politica
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Roma, 28 feb. (Adnkronos) - La proposta è stata lanciata da Michele Serra su Repubblica. "Una piazza per l'Europa". Senza bandiere di partito, solo il "blu monocromo della piazza europeista". Per la libertà e l'unità dell'Ue, sotto attacco come mai prima d'ora. "Qualcosa che dica, con la sintesi a volte implacabile degli slogan: 'qui o si fa l’Europa o si muore'", scrive Serra. La possibile data e il luogo li ha suggeriti Ivan Scalfarotto di Iv, il primo tra i politici stamattina ad aderire: "Facciamola a Milano, presto, il 15 marzo. Tutti in piazza per l’Europa". Da lì in poi le adesioni "al sassolino lanciato nello stagno", come lo ha definito Serra, si sono moltiplicate.
A partire da Italia Viva e poi Azione e Più Europa. Mezzo Pd ha mandato via social dichiarazioni a sostegno dell'iniziativa e domani ne parlerà Elly Schlein su Repubblica. Anche Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni accolgono l'appello per la piazza. Ci tengono però, in un momento in cui si parla di riarmo europeo, a rimarcare la posizione: no a spendere in armi, sì alla spesa sociale. Chi resta defilato per ora è Giuseppe Conte oggi impegnato nel lancio della manifestazione M5S del 5 aprile. "Non ci confondiamo con le piazze, io ho parlato della nostra", ha risposto il leader pentastellato interpellato dai cronisti.
"Noi ci siamo: gli Stati Uniti d’Europa sono un sogno, ma l’Europa unita e forte è una necessità", twitta di buon mattino Matteo Renzi. Poi Carlo Calenda: "Aderiamo con convinzione all'appello lanciato da Michele Serra per una piazza che celebri il significato profondo dell'essere europei. Ci saremo. Oggi più che mai. Senza simboli di partito ma uniti, insieme, per ribadire e difendere i nostri valori". Riccardo Magi di Più Europa aderisce e lancia una possibile data alternativa: "Una grande piazza che potrebbe essere organizzata il 25 di marzo, giorno in cui si celebra la firma del Trattato di Roma".
Nel Pd le adesioni arrivano man mano allo spicciolata. Molte dall'area riformista dem con Piero De Luca, Simona Malpezzi, Piero Fassino, Lia Quartapelle, tra gli altri. Quindi Stefano Bonaccini: "Con tutto quello che sta accadendo nel mondo, in Occidente in particolare: se non ora, quando?". Aderiscono anche Matteo Ricci, Sandra Zampa, Gianni Cuperlo che scrive: "Caro Michele, fissa giorno, ora, piazza e città. Io, come tante e tanti, ci sarò". Poi arriva anche il post del capodelegazione del Pd in Europa, Nicola Zingaretti: "Ottima idea una piazza per rilanciare un’Europa più forte e unita. Incontrarsi sotto tante bandiere europee per costruire il futuro. Noi ci siamo".
Ne parla anche l'ex-commissario Ue, Paolo Gentiloni, intervenendo alla scuole di politiche per amministratori di Dario Nardella: "Ho visto l’appello di Michele Serra a fare una manifestazione tutti insieme, senza bandiere, ecco penso che anche questo è un regalo del nuovo presidente degli Stati Uniti".
Accolgono l'appello anche Bonelli e Fratoianni puntualizzando la loro posizione sull'Ue. Scrive Bonelli: "Certamente con alcuni avremo visioni diverse su quale Europa vogliamo, ma la nostra è un’Europa che costruisce la pace, non lavora per il riarmo e sceglie la via del dialogo e della diplomazia e si batte per politiche che contrastino la crisi climatica". Considerazioni simili a quelle di Fratoianni: "Giustissimo dire 'o si fa l'Europa o si muore'. Ma perchè l'Europa si faccia, e si salvi, ha bisogno di capire quale è la sua prospettiva che per noi non può che essere quella di un'Europa di pace e non quella di scorporare dal patto di stabilità le spese per il riarmo, ma che lo si faccia semmai per la spesa sociale. Se dovesse continuare a ripetere gli errori che oggi la rendono così fragile, l'Europa non solo non si farà, ma rischia di non farcela".
Roma, 28 feb. (Adnkronos/Labitalia) - Nelle scorse settimane si è tenuto il secondo Congresso confederale di Cne e Federimprese Europa alla presenza di Enti, istituzioni e organizzazioni sindacali facenti parte del circuito confederale e non. Il presidente nazionale, Mary Modaffari, confermata alla guida della Confederazione, ha esposto le linee guida programmatiche confederative delle due realtà che in poco tempo hanno raccolto una consenso importante nel mondo sindacale datoriale.
"L’attuale fase storica è segnata dallo sviluppo di tecnologie incredibilmente innovative, che mutano le modalità produttive. Altresì l’apertura dei mercati e l’ascesa di importanti realtà economiche extra-occidentali stanno spostando il baricentro del mondo. Pure in Occidente assistiamo alla crisi delle logiche istituzionali che hanno caratterizzato la scena pubblica dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La Cne imprese si inserisce entro questo quadro, dato che, da realtà giovane e innovativa quale siamo, ci candidiamo a interpretare con decisione le forze produttive del Paese, che intendiamo difendere e far crescere. Vogliamo condividere i nostri progetti con tutte le istituzioni pubbliche e private, con le altre realtà associative degli imprenditori e dei lavoratori, con il mondo dell’informazione e della cultura. Tutto ciò per costruire un’Italia più libera e forte, meglio in grado di rispondere alle sfide del presente", ha detto nel suo discorso di apertura congressuale la presidente Modaffari.
"Vogliamo individuare, con l’aiuto di tutti, soluzioni condivise che sappiano affrontare i problemi strutturali. Le nostre imprese sono tra le migliori al mondo e i nostri lavoratori non hanno eguali. Le une e gli altri, però, potranno esprimersi al meglio se la politica farà la sua parte: ciò che raramente è avvenuto in passato. Abbiamo allora il compito di costruire, insieme, un quadro di stabilità che sia capace di favorire progetti e investimenti di lungo periodo. Noi siamo un’associazione di associazioni e di Federazioni: siamo una Confederazione e questo è uno dei nostri punti di forza in quanto ogni realtà associata nel contesto confederale porta le proprie esperienze in diversi settori integrandosi le une sulle altre. Un sistema nuovo di associazionismo che vede un solo corpo con tanti parti imprenditoriali. Il nostro obiettivo è contribuire al rinnovamento della società italiana e cercheremo di farlo dialogando con le altre realtà associative e con il governo", ha concluso.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Non levatemi i miei sogni", cantava Vincenzo Capua nel brano autobiografico 'Faccio il cantautore' che dava il titolo al suo album uscito l'anno scorso. E adesso quella stessa passione lo porterà sabato 8 marzo sul palco della finale del San Marino Song Contest, il concorso che incoronerà l'artista che rappresenterà la Repubblica del Titano all'Eurovision Song Contest. Capua, entrato tra i 20 finalisti, presenta al concorso di San Marino il brano inedito 'Sei sempre tu'. Una scelta coraggiosa, visto che il concorso permette di presentare anche brani già pubblicati, purché usciti non prima di settembre 2024. "Certo, ci sono brani già noti, quello di Gabry Ponte poi è già un tormentone. E questo probabilmente è un bene per lui perché è già nelle orecchie e nel cuore del pubblico e della giuria. Però è previsto dal regolamento che si possano portare anche brani già editi, quindi è stata una mia precisa scelta presentarmi con un inedito. Ho voluto lavorare a questo pezzo come fosse per Sanremo. Mi piace che questa canzone venga scoperta per l'occasione: sarà più complicato ma anche più emozionante", dice Capua, classe 1989, in un'intervista all'Adnkronos.
Il brano che l'artista romano, noto anche come conduttore radiofonico e per le sue partecipazioni a Castrocaro, all'Edicola Fiore e a 'L'anno che verrà', presenterà sul palco del Teatro Nuovo di Dogana "è una canzone che ho scritto recentemente ed è molto autobiografica - spiega Capua - un brano che parla di amore e di forza interiore, della lotta costante che ognuno affronta con i propri demoni interiori e che in qualche modo si vince quando si ha accanto una persona che ti ama, ti supporta e a volte ti sopporta". 'Sei sempre tu', che uscirà solo il giorno prima della finale, il 7 marzo, è prodotto dall'etichetta della Nazionale italiana cantanti ("voglio ringraziare la Nazionale di cui faccio parte perché ha prodotto già il mio album e continua a produrre le mie canzoni", dice) ed è dedicato idealmente alla compagna dell'artista: "Alla mia compagna Claudia - spiega - con cui convivo da tanti anni. Lei è la mia musa ispiratrice. Abbiamo una bellissima famiglia allargata composta anche dai nostri figli, avuti da precedenti relazioni. Mia figlia Giorgia, già molto appassionata di musica, e Gaia e Diego". Per Capua, 'Sei sempre tu' è "il primo singolo del nuovo album che spero di far uscire entro la fine di quest'anno", sottolinea. Mentre si dice contento di ritrovare a San Marino anche Pierdavide Carone (in gara con il brano 'Mi vuoi sposare?', ndr.) con il quale ha duettato in 'Ci credi ancora', uno dei brani dell'album 'Faccio il cantautore' uscito l'anno scorso.
Un album la cui title-track era dedicata proprio alla vita non sempre facile di chi vuol fare il cantautore: "Ho voluto scrivere quella canzone proprio per chi come me deve scontrarsi ogni giorno con gli alti e bassi di questo mestiere, che spesso non viene riconosciuto perché appunto è considerato poco sicuro e instabile, rispetto al mito del posto fisso che Checco Zalone ha raccontato tanto bene. Ma forse qualcosa sta cambiando se anche a Sanremo c'è stato un grande ritorno di cantautori, che hanno ottenuto risultati importanti. Questa edizione è stata un po' la rivincita dei cantautori", rimarca.
Quanto ai pronostici su San Marino, il commento di Capua è all'insegna del fair play: "Ci sono tanti artisti importanti che hanno molte più possibilità di me di vincere. Per me la vittoria è essere lì in finale a presentare la mia musica. Poi può succedere di tutto. Ma quello che voglio è dare il massimo e fare bene la mia performance", conclude. (di Antonella Nesi)
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Penso che dire oggi 'o si fa l'Europa o si muore', sia assolutamente giusto e condivisibile. Lo diciamo da tempo. E a maggior ragione oggi di fronte all'aggressione di Trump e delle destre nazionaliste sostenute da autocrati come Putin e lo stesso presidente Usa". Nicola Fratoianni risponde così interpellato dall'Adnkronos sulla proposta di una piazza per l'Europa lanciata da Michele Serra su Repubblica.
"Ma perchè l'Europa si faccia, e si salvi, ha bisogno di capire quale è la sua prospettiva che per noi non può che essere quella di un'Europa di pace e non quella di scorporare dal patto di stabilità, le spese per il riarmo, ma che lo faccia semmai per la spesa sociale, per politiche industriali che vadano verso la transizione verde".
"Se dovesse continuare a ripetere gli errori che oggi la rendono così fragile, l'Europa non solo non si farà, ma rischia di non farcela. Occorre avere chiara questa prospettiva. Detto questo bene l'appello di Michele Serra ma non basta evocazioni, servono scelte politiche".
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Soltanto unita l'Europa può fare da contraltare a Trump, e tra l'altro può farlo anche chiedendo il rispetto dei diritti e dell'ambiente, cose che per Trump sono inconcepibili: ecco perché prova a dividerci e a sgretolare l'Ue. Giorgia Meloni però accorre alla sua corte e fa finta che l'Europa non esista. Così fa soltanto il gioco di Trump e ci porta a sbattere. Perchè con la politica del doppio binario, ossia agire in parte come Europa e in parte Stato per Stato, il presidente Usa riuscirà a metterci l'uno contro l'altro". Così l'europarlamentare di Avs Benedetta Scuderi a Tagadà su La7.
"Per quanto riguarda il prezzo dell'energia - ha poi aggiunto Scuderi - la verità è che da parte del governo italiano non c'è la minima visione strategica, Meloni pensa solo a mettere toppe. Intanto però gli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche continuano a non essere toccati. Noi Verdi invece pensiamo che la strada, come in Spagna, sia quella di sviluppare le rinnovabili, velocemente e insieme alle comunità locali, con progetti come le comunità energetiche, che sono territoriali e partecipati", ha concluso.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - "Invece di lavorare, il nostro vicepremier si balocca - dal ministero? - a solidarizzare con i putinisti di Europa. L'imbarazzo che deve provare Meloni. Se questo è un governo. I passeggeri dei treni che non arrivano mai, ringraziano". Lo scrive sui social Filippo Sensi del Pd.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - Per l’International Women’s Month, la campagna di Hard Rock Cafe che celebra l’8 marzo nei cafe di tutto il mondo Hard Rock Cafe International e la superstar internazionale e attivista umanitaria Shakira annunciano una partnership della durata di un anno che ha l’obiettivo di promuovere l’empowerment femminile attraverso il potere unificante della musica. Hard Rock e Shakira hanno ideato insieme un menù in edizione limitata con i piatti preferiti dalla popstar disponibile per tutto il mese di marzo anche in Italia nei cafe di Firenze, Roma e Venezia, il cocktail, 'Hips Don’t Lie', per esempio, e una collezione di capi di abbigliamento Fearless ispirata all’artista colombiana, acquistabile nei rock shop dei tre cafe italiani. Inoltre, nel mese di marzo tutti i cafe del mondo ospiteranno oltre mille performance al femminile, compresi gli Hard Rock di Firenze, Roma e Venezia che proporranno un calendario di musica live con artiste e band emergenti locali.
"Sono entusiasta di collaborare con Hard Rock, un’organizzazione con una storia incredibile di sostegno alle donne attraverso la forza della musica, per dare potere alle mie sorelle in occasione della Giornata Internazionale della Donna e non solo - dichiara Shakira - Insieme possiamo usare le nostre voci per abbattere le barriere e rendere il mondo uno spazio più inclusivo dove ogni donna si senta sicura nel poter essere sé stessa". A supporto della causa Hard Rock Cafe raccoglierà, inoltre, fondi attraverso la sua fondazione benefica, Hard Rock Heals Foundation, per tutto il mese della campagna.
"Dai concerti al party di lancio del suo album Las Mujeres Ya No Lloran, fino all’adesione al nostro programma di fidelizzazione Unity by Hard Rock, i valori comuni di Hard Rock e Shakira nell’onorare le donne attraverso la musica ci hanno uniti nel corso della sua carriera pionieristica - spiega Elena Alvarez, senior vice president of Marketing and Brand Partnerships di Seminole Gaming e Hard Rock International - Quest’anno, invitiamo le donne a far sentire la propria voce, a condividere le loro storie e a sostenersi a vicenda".
Il menù in edizione limitata ideato da Hard Rock in collaborazione con Shakira prevede il cocktail fruttato 'Hips Don’t Lie' a base di tequila silver con liquore ai fiori di sambuco, fragole e cetrioli, una 'Chicken Fattoush Salad', insalata mista con verdure fattoush e petto di pollo grigliato, crostini di pane e una miscela unica di 'dressing Caesar' e vinaigrette al vino rosso, che rende omaggio alle origini libanesi di Shakira accanto all'Hamburguesa Colombiana, uno smash burger con formaggio americano, lattuga tritata, pomodoro, legendary sauce e patatine kettle-cooked e per chiudere in dolcezza il 'Dulce De Leche Hot Fudge Brownie', un ricco brownie al cioccolato guarnito con salsa di caramello.
Per la serata dell’8 marzo, poi, Hard Rock Cafe Firenze propone una cena con il menù speciale di Shakira e l’accompagnamento musicale degli 80Voglia cover band degli anni ’80, nata nel 2005 con le voci di Ilaria Pacini e di Roberto Rospigliosi, alle tastiere Christian Fanti, al basso Luca Ferreri, alla chitarra Francesco Ciampalini e alla batteria Nicola Immer. Nella serata del 14 marzo l’accompagnamento musicale sarà invece a cura dei Gaga Tribute Ball un tributo ai più grandi successi di Lady Gaga, con la voce di Francesca Di Cresce, similissima nelle sembianze e nell’aspetto vocale alla cantautrice statunitense.
L’ Hard Rock Cafe di Roma propone per la serata dell’8 marzo la performance live di 'Women in Rock Band - Voci di donna', un viaggio tra le voci femminili più iconiche della musica, dalle leggende degli anni '60 ad oggi. Il 13 marzo DJ Val Stefani porta il suo sound disco, soulful e house in un set imperdibile, dopo cinque anni di esperienza nei migliori locali di Roma. DJ Ale Cross & Crica il 20 marzo propongono un mix esplosivo di Rap, Trap, R’n’b e Soul per far scatenare il pubblico, mentre il 27 marzo la DJ romana Masha porta un set dinamico di disco, house e funk, con la sua vibrante energia.
L’Hard Rock Cafe di Venezia apre il mese dedicato alla donna il 13 marzo con Dani de Zan che con la sua chitarra ripercorre la meravigliosa musica folk, soul country e blues americana degli anni '60 e '70. Il 20 marzo Giulia Tonini, cantante e chitarrista riarrangia in chiave acustica i più grandi successi pop internazionali dagli anni '80 ad oggi. Il 27 marzo, invece, gli Stillwater duo composto da Teti Cortese (voce) e Leonardo Bosello (chitarra), propongono un repertorio dalle molteplici sfumature, composto da cover e inediti, dalle tinte Soul, Blues, Rock & Pop.
La t-shirt ufficiale, la felpa e la pin per il Mese Internazionale della Donna di Hard Rock sono disponibili per l'acquisto nei Rock Shop di Firenze, Roma e Venezia e online su shop.hardrock.com. Una parte del ricavato delle iniziative proposte da Hard Rock insieme a Shakira verrà donato alla Pies Descalzos Foundation, l'organizzazione no-profit di Shakira che supporta l'educazione e lo sviluppo sociale delle ragazze nelle comunità più vulnerabili della Colombia. Inoltre, la Hard Rock Heals Foundation è orgogliosa di donare 250mila dollari alla Pies Descalzos Foundation, oltre ai contributi dei clienti a questo programma.
"Siamo grati a Hard Rock per la sua generosa donazione, che sosterrà la nostra missione di garantire l'accesso all'educazione per le giovani ragazze della Colombia, offrendo loro un futuro più luminoso", dichiara Patricia Sierra, direttore esecutivo della Pies Descalzos Foundation.