Ha sempre il sorriso sulle labbra Giacomo Agostini quando parla del suo quindicesimo titolo mondiale. È il sorriso di chi sa di averne combinata una davvero grossa. Un’impresa probabilmente irripetibile, anche a quarant’anni di distanza. Tanti quanti ne sono passati dall’ultimo titolo iridato. Dire se questa fu la vittoria più bella, però, non è semplice: “Mi ricordo la mia prima Bologna-San Luca, con la moto privata e senza meccanici. Bastavano due chili di pane, un bel salame e quattro cotolette. Oppure la prima vittoria davanti al mio pubblico, a Monza (nel 1965, ndr). E poi, certo, anche il quindicesimo titolo mondiale”.
Era il 24 agosto 1975. La Fiat aveva appena sospeso la produzione della 500, l’utilitaria che 18 anni prima aveva dato il via alla motorizzazione di massa nel Bel Paese; la Juventus era campione d’Italia per la 16esima volta; Gustav Thöni aveva conquistato la sua quarta Coppa del mondo; e per la prima volta dopo sette anni il cannibale Eddy Merckx non vinceva né il Giro d’Italia né il Tour del France (quell’anno si accontentò di portare a casa Milano-San Remo, Giro delle Fiandre e Liegi-Bastogne-Liegi).
Agostini aveva appena compiuto 33 anni. Era già sette volte campione del mondo con le 500, più altre sette con le 350. Una categoria nella quale l’anno precedente aveva conquistato il primo titolo con la Yamaha. Prima di allora, 13 allori tutti con la Mv Agusta. Ma in 500 le cose erano ben diverse: dopo la rottura con la casa varesina alla fine del 1973, e la doppietta dell’ex compagno di box Phil Read fra il ’73 e il ’74, Agostini dovette ripartire da zero. Lo fece iniziando subito forte, nel Gran premio di Francia, a Le Castellet. La Yamaha gli fornì una moto che, parola di Ago, “ancora oggi adoro, sulla quale mi sono molto divertito”. I giapponesi lo agevolarono portando perfino il cambio della due tempi da sinistra a destra, come da tradizione europea.
In Austria però fu fermato da un problema meccanico, dopo aver realizzato pole position e giro veloce. Tornò a vincere ad Hockenheim e dominò ad Imola. Ad Assen fu secondo, dietro a Barry Sheene, che con la Suzuki vinse per la prima volta in 500. Ma arrivò davanti alla Mv di Read. “Un pilota con il quale non c’è mai stato un grande amore – dice Agostini -. Lui era molto aggressivo, non guardava in faccia a nessuno. Forse è l’atteggiamento giusto, se vuoi raggiungere buoni risultati nel mondo delle corse. Però ci vuole anche rispetto. Invece lui se le cercava…”.
Dopo il doppio passo falso a Spa e Anderstorp, Ago raddrizzò la situazione in Finlandia. Proprio dove – esattamente dieci anni prima – aveva conquistato la sua prima vittoria nella top class. Ad Imatra strappò 15 punti fondamentali. Soprattutto perché nel frattempo il ritiro della Mv di Read aveva lasciato a zero l’inglese. Quando il campione del mondo in carica tornò alla vittoria, a Brno, era già troppo tardi. Read condusse la gara dall’inizio alla fine. Ma Agostini, arrivato secondo, ottenne matematicamente il suo titolo numero 15.
“Difficile – dice – ricordare cosa provai, dopo tanto tempo. Sicuramente una grande gioia. Il titolo mi era sfuggito l’anno prima. E io ci tenevo a dimostrare che ero capace di vincere anche con la Yamaha. Sono stato il primo pilota ad ottenere il titolo nella top class con la casa giapponese”. Una vittoria che non fu la fine della sua carriera, ma il miglior suggello. L’espressione più alta del mito.
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