“Presenza di vincoli archeologici, crinali visibili dall’autostrada, elevato consumo del suolo viste le tipologie che produrrebbero modificazioni permanenti delle forme del paesaggio… In conclusione si ritiene che la proposta di interpretazione e di trasposizione attiva delle norme di tutela dei differenti strumenti urbanistici (…) tenda a svilire e rendere inefficace una politica di tutela paesaggistica coerente e condivisa ai vari livelli di pianificazione”. Si legge nella relazione dell’aprile 2014 della Direzione Generale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche a proposito del progetto del Burchio, a Porto Recanati, comune marchigiano in provincia di Macerata.
34 ettari sui quali spalmare, dopo una variante urbanistica votata per la prima volta il 30 dicembre 2013, un resort 5 stelle superior comprendente un hotel, circa 40 villette, attrezzature sportive e per il benessere, oltre a 17 ettari di verde. Osservazioni vincolanti, ma insufficienti a decretare la fine del sogno della società ConeroBlu srl. Nonostante anche la feroce opposizione del locale M5s, attraverso il consigliere Giammario Poeta. Ora, dopo mesi di ratifiche e annullamenti dell’accordo originario tra la società e il Comune litoraneo, e una sentenza del Tar che ha decretato che il Comune non sia tenuto a risarcire in alcun modo la eventuale mancata realizzazione del progetto, la decisione spetta al commissario prefettizio Passerotti, subentrato alla giunta guidata da Sabrina Montali.
Anche per la vicenda del Burchio la pianificazione urbanistica non sembra essere una priorità a Porto Recanati. Delimitata da un lato, verso la frazione di Scossicci, dal Capannone Nervi, struttura di archeologia industriale superstite dell’attività della Montedison e dall’altro, in prossimità della foce del fiume Potenza, dal complesso residenziale non finito denominato Torri di Avvistamento. L’uno e l’altro da anni in attesa di una soluzione. Sono queste due architetture uno dei simboli della località balneare che tra il 1967 e il 1970 decise di modernizzarsi realizzando l’Hotel House e il grattacielo Bianchi. Tanti metri cubi alzati verso il cielo, torri non solo fuori scala ma anche fuori contesto. Con presenze così ingombranti non è agevole fare i conti, ma provare a farlo è molto più che una semplice operazione di riassetto. È una imprescindibile necessità. Così come quella di incrementare i servizi di un abitato che nell’oscillazione vertiginosa di presenze tra i mesi estivi e il resto dell’anno, rischia di perdere anche la sua identità. Perché è evidente che la vocazione turistica debba essere incrementata al meglio, l’attrattività vada rinvigorita. Ma tutto ciò non dovrebbe comportare il sacrificio della vivibilità, la rinuncia a spazi inedificati. Insomma la trasformazione irreversibile del Paesaggio. Con l’aggiunta di nuovi complessi edilizi a saturare aree naturali che contribuiscono a connotare Porto Recanati. A farne un luogo con sue specificità.
Stupisce quindi che invece di ergersi a paladini di queste felici diversità le più recenti amministrazioni abbiano variamente tentato operazioni urbanistiche che avrebbero avuto come sicuro esito l’omologazione di questi territori a molti altri. Non solo limitrofi. Operazioni che con un impatto certo difforme suoi luoghi avrebbero aggiunto funzioni commerciali, e soprattutto turistico-abitative, ma che avrebbero alienato spazi liberi, paesaggio litoraneo che dovrebbe costituire l’attrattiva.
Così anche l’idea, per ora accantonata, del progetto di lottizzazione a sud di Porto Recanati, per la realizzazione di un centro commerciale tra l’area archeologica di Potentia e la Statale 16. Come da elaborato 67.500 mq. dei quali soltanto 11.000 destinati all’edificio commerciale. Per il quale la fase esecutiva è per ora bloccata dalla richiesta della Provincia di Macerata su istanza del Mibact di sottoporre il progetto a valutazione preventiva di Impatto Ambientale anche grazie alle osservazioni di Italia Nostra Marche.
La circostanza che il pericolo sia tutt’altro che scampato indizia quanto sia necessario proseguire nella sensibilizzazione di questi temi. Quanto sia vitale spiegare cosa comporti sposare politiche urbanistiche scriteriatamente incentrate sull’utilizzo del suolo a fini edificatori. Progetti entrambi, quello del Burchio e l’altro nei pressi di Potentia, viziati più o meno direttamente da un’idea errata del centro urbano e del suo hinterland, intesi come strumenti per rimpinguare le casse comunali, anche attraverso gli oneri di urbanizzazione. Progetti che indiziano quanto si continui a praticare con scientifica reiterazione un’urbanistica declinata soltanto attraverso nuove aggiunte.
In una situazione così incerta ad emergere sono l’assenza di governo, di lungimiranza e di scelte. Una pericolosa separazione tra politiche urbanistiche e culturali dalla quale a trarre giovamento sono unicamente operazioni in sfregio del territorio. Secondo un’idea antica, che ormai è ovunque evidente sia giunta alla sua fine, malgrado se ne tenti ostinatamente e ottusamente le reiterazione, che la salvezza di economie e luoghi in affanno avvenga attraverso il magico rituale del sacrificio di suolo sull’altare del mattone. Cementificazioni decise dall’arbitrio di pochi, ma i cui danni sono destinati a ripercuotersi su un ‘Bene di Tutti’. Il Paesaggio. Anche per questo sarebbe importante riuscire a creare un cortocircuito, interrompere la spirale che rischia di mutare Porto Recanati, annullando le sue particolarità fino ad omologarla alle tante località costiere italiane, sfregiate dall’oltraggio della vacanza.