di Carblogger
Renzi forse è ancora sotto l’ombrellone, Marchionne non pervenuto. Ma rispolvero lo stesso una questione che riguarda entrambi e che il governo farebbe bene ad affrontare appena finirà questo gran caldo: è giusto che lo Stato impieghi i soldi dei contribuenti per rilanciare l’industria dell’auto, cuore dell’economia in quanto moltiplicatore di occupazione oltre che di innovazione tecnologica? E non parlo di incentivi all’acquisto, la storia è un’altra. Ed è strategica.
La domanda si è surriscaldata alla fine di luglio alla presentazione in Senato della ricerca L’automotive nei principali Paesi europei, promossa dalla commissione industria e curata da Prometeia e Union Camere. La domanda è di Massimo Mucchetti, presidente della Commissione, ex vicedirettore del Corriere della Sera e senatore del Pd, non allineato al renzismo oggi, come ieri non lo era alla Fiat proprietaria del giornale che dirigeva. Il migliore degli inizi possibili.
Renzi, se vuol dare sostanza alla sua politica del fare (e trovare forse un inedito campo d’intesa con minoranza Pd, sinistra e sindacati) farebbe bene a buttare un occhio sul lavoro di Mucchetti. Nel quale si leggono diversi numeri e ragioni: 1) lo Stato interviene sempre anche nell’auto quando è in ballo l’interesse nazionale, come in America hanno fatto le amministrazioni Bush e Obama, come è stato fatto in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, per citare i paesi a noi più vicini; 2) se si vuole garantire occupazione bisogna allargare la base produttiva e dunque l’export, perché il mercato italiano è quello che è; 3) Marchionne con Fca è partito bene con il nuovo piano industriale (Melfi in primis) ma, a parte la sua strana campagna di vendita porta a porta del gruppo, sarebbe ora che in Italia non ci fosse un solo costruttore e anzi il Paese diventasse terra d’investimenti stranieri (il recente caso Lamborghini docet).
Renzi, insomma, potrebbe andare oltre Marchionne con una politica industriale mirata, che servirebbe al Paese e non solo a una campagna elettorale. Il dibattito è aperto e il commento più stringente l’ho letto in una intervista su Milano Finanza nelle parole di Riccardo Ruggeri, ex top manager del gruppo Fiat, oggi consulente internazionale indipendente e autore di libri. Parole sante cui vi lascio meditare: “Una ripartenza dell’automotive italiana – dice Ruggeri alla domanda su quali risorse andrebbero dirottate sul settore – che metta insieme la base eccellente, ma frastagliata della componentistica e una struttura produttiva completa, includendo, perché no, le fabbriche cacciavite, può produrre effetti superiori a qualsiasi altro investimento industriale. Occorre però una visione di medio/lungo termine, dove le risorse finanziarie private siano supportate dalle strutture e dalle risorse finanziarie pubbliche, in una strategia industriale ed economica condivisa. Meglio non parlare più di aiuti. Le immissioni finanziarie pubbliche a supporto del privato sono importanti per il sistema economico complessivo, ed è giusto che debbano avere un ritorno misurabile, e non solo finanziario”.