Il 41 per cento del suolo a rischio si trova a Sud, oltre la metà in Sicilia, Puglia, Molise e Basilicata. "Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni"
La desertificazione non risparmierà l’Italia. Quasi un quinto del territorio nazionale è a rischio, il 41% del quale nel Sud, oltre la metà del territorio in Sicilia, Puglia, Molise e Basilicata. Nel mondo già due miliardi di persone vivono in aree siccitose e questo acuirà i fenomeni migratori. Il rischio è di passare alla ‘conca di polvere’, un punto di non ritorno. Sono i dati che verranno discussi mercoledì nella conferenza “Siccità, degrado del territorio e desertificazione nel mondo”, organizzata dal Cnr presso il padiglione Italia all’Expo.
“Le aree siccitose – spiega Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche – coprono oltre il 41% della superficie terrestre e vi vivono circa 2 miliardi di persone. Il 72% delle terre aride ricadono in Paesi in via di sviluppo, la correlazione povertà-aridità è dunque chiara. Se si guarda all’Italia, gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione quasi il 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo”.
“Le conseguenze di quest’inadeguata gestione – sottolinea l’esperto del Cnr – sono sintetizzate nella espressione inglese Dust bowlification, da dust, polvere, e bowl, conca. È un concetto differente dalla desertificazione, giacché anche i più estremi deserti sono comunque degli ecosistemi (le aree aride includono il 20% dei centri di biodiversità e il 30% dell’avifauna endemica), mentre le conche di polvere sono un punto di non ritorno”.
La diffusione di questi territori sempre più inospitali acuirebbe ovviamente le ondate migratorie. “Ad essere colpiti dalla siccità sono infatti i Paesi del bacino Mediterraneo, tra i più fragili dal punto di vista ambientale e antropico. Molte persone che arrivano da noi non fuggono dalla guerra, ma da aree rese invivibili dalla desertificazione, sono rifugiati ambientali. E il loro numero è destinato a crescere esponenzialmente nel prossimo futuro. Occorre un approccio sistemico al problema, capace di riportare in equilibrio ecologico i territori a rischio” conclude l’esperto.
“In Sicilia le aree che potrebbero essere interessate da desertificazione sono addirittura il 70% – avverte Centritto – in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%”, continua il ricercatore. Uno scenario inquietante, che non lascia spazio a dubbi sull’urgenza di azioni strategiche per arginare o mitigare i cambiamenti climatici.
“Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive: l’unione di questi due fattori genererà forte aridità. Paradossalmente, mentre per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe sufficiente cambiare in tempo la nostra politica energetica, per arrestare la desertificazione questo non sarà sufficiente, poiché il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio”, aggiunge Centritto.