In provincia di Chieti, da Ortona fino a Vasto e San Salvo, la costa abruzzese abbandona l’interminabile distesa sabbiosa e rivierasca per una natura più giocosa di calette, insenature verdeggianti e vedute panoramiche che mutano ad ogni curva della Strada Nazionale Adriatica. Molte delle punte naturali qui si allungano verso il mare sotto forma di trabocchi. Come attrezzate palafitte di legno sospese sull’acqua, sono una delle migliori attrattive turistiche d’Abruzzo, costituendo avamposti di architetture antiche non soltanto sul mare, ma immerse nella cultura peschiera e nella gastronomia regionale.
“I trabocchi non hanno un’età precisa, risalgono circa all’800”. Mi racconta Bruno Verì, titolare del Trabocco Pesce Palombo, mentre con la coda dell’occhio resta sempre vigile sulla sala piena e sul personale a lavoro. “Da generazioni fino a mio nonno a mio padre qui si pescava. Poi il mare, non solo l’Adriatico, iniziò ad essere meno pescoso, soprattutto vicino a terra, così dieci anni fa è cominciata per gioco la ristorazione. Prima organizzando cene per pochi parenti e amici, poi riservandole a gruppi di primari e professori. Da lì abbiamo iniziato a farci conoscere grazie anche a Slow Food”.
Siamo nel comune di Fossacesia, il menù è fisso e la cucina piccola, ma organizzata in maniera eccellente per i circa 120 posti a sedere sotto le tettoie in legno. La sala centrale si lascia abbracciare dal mare su tre lati, e proprio verso il largo la grande rete issata completa una scenografia unica al mondo. Appena seduti sono le cameriere che si prendono cura degli ospiti frementi di selfie e scatti da ricordare. L’entrata è un susseguirsi di antipasti come il cartoccio di alici fritte, sgombri marinati e cozze ripiene. Ma anche di declinazioni marinare di classici dell’entroterra abruzzese come le polpette cacio e ovo al pesce, o il tortino di palombo alla parmigiana. Senza rinunciare a piacevoli declinazioni d’insalata di polpo, qui con patate e fagiolini. “Serviamo solamente il pescato, dalla struttura stessa, da piccola pesca, e ovviamente da pescherecci e lampare. Comunque sempre pesce dell’Adriatico”. Precisa Verì quando si tratta di prodotti. E dal pomodoro all’olio, fino ai bocconotti al cioccolato e ai taralli albicocca e mandorle si tratta sempre di chilometro zero. La freschezza si sente ancora di più quando è sposata con una semplicità quasi casalinga. “Ogni trabocco ha una cucina diversa. Alcuni hanno lo chef, noi abbiamo la fortuna che cucina mia moglie”. Mi confessa con una luce intenerita negli occhi.
La gestione in questi locali è sempre familiare. Di solito i titolari si dividono tra cucina e organizzazione mentre ai figli spetta la sala. E le lingue straniere sono sempre più benvenute tra personale e clienti. “Noi quest’anno abbiamo ospitato norvegesi, coreani, giapponesi, russi. Adesso c’è una bella tavolata di canadesi. Grazie a internet siamo riusciti a farci vedere in tutto il mondo”. Illustri testimonianze su una parete adibita a portaritratti, saltano all’occhio foto di avventori come Gerard Depardieu in posa tra i cuochi, o Lucio Dalla alle prese con il brodetto di pesce. Il piatto forte della tradizione abruzzese fa sempre parte della carta, insieme alle sagnette ceci cozze panocchie e gamberi. Ovviamente pasta fresca fatta in casa. E sui secondi si sbottona: “Oggi abbiamo anche orate gratinate alle mandorle e patate, spigola al forno e brodetto”.
Il rapporto ancestrale tra uomo e mare si fa sensazione tangibile spiando i flutti tra i tronchi e le assi in metallo a sorreggere il trabocco e il lungo ponte che lo separa dalla spiaggetta. Tutto è sospeso a pochi metri sull’acqua. “I trabocchi sono in tutta Italia, anche in Puglia, ma non sono così. Il nostro si trova a 130 metri dalla riva”.
Il fascino di un trabocco ha due facce: quella solare e cristallina del giorno e quella dello sciabordante buio marino che ingoia le atmosfere romantiche della sera. Ma queste chicche dell’Adriatico hanno un futuro fragile perché ultimamente stanno lottando per scongiurare la trivellazione petrolifera che il governo Renzi ha già in parte accettato con il decreto del 7 agosto. Un guasto a un oleodotto vagamente simile a quello avvenuto in Nigeria pochi anni fa basterebbe a contaminare mezzo Adriatico. Lo stesso del Salento e di Venezia, per intenderci. “Noi siamo contro questa Ombrina”. Sottolinea con decisione il traboccante. ”L’Adriatico, come sappiamo tutti, è un grande canale, non un mare aperto. Scavando questi pozzi andremmo a mettere a rischio tutta la costa. Sarebbe una rovina sia per l’ambiente che per la costa e i turisti”. Anche dai tornanti che passano per i trabocchi scritte e striscioni “NO Ombrina” gridano quanto queste piattaforme siano indesiderate dalla cittadinanza e dai comitati sorti per la protesta. Sul supposto aumento occupazionale per la Regione il titolare del Pesce Palombo affonda un altro colpo: “Non credo a questa prospettiva. Mi pare più un interesse dei petrolieri. Sull’occupazione sembra che porteranno l’80% del personale da fuori, prendendo da qui solo il 20%”.
L’anno scorso il crollo dell’antico Trabocco del Turchino, simbolo costiero dell’Abruzzo amato anche da Gabriele D’Annunzio che su queste cale aveva la sua residenza estiva, è crollato per l’incuria del comune di San Vito, con un sindaco tutt’ora indagato. Da queste parti è una ferita al cuore ancora aperta, così scelgo di tirare fuori l’argomento soltanto dopo un dolce caffè. Sulla fermezza di Verì stavolta scende un velo di nostalgia. “Erano stati stanziati i fondi per il restauro del Trabocco D’Annunzio. Era il più vecchio, un monumento. Ma come si dice tra i traboccanti: il mare non aspetta”.