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Mario Fargetta: “Oggi le radio non investono più sui Dj, conta solo la programmazione musicale”

di Salvatore Coccoluto

Dici Dj Fargetta e pensi subito agli anni Novanta e al periodo d’oro della dance italiana, quello che ha visto protagonisti in consolle anche Coccoluto, Molella, D’Agostino, Prezioso e molti altri. E pensare che Mario Fargetta voleva fare il calciatore, poi l’amore per la musica l’ha portato a dedicarsi totalmente ai ‘piatti’ e ai suoi vinili. Dopo le prime esperienze in piccole emittenti radiofoniche, alla fine degli anni Ottanta è approdato nella Radio Deejay del talent scout Claudio Cecchetto, che in quel periodo lanciava nell’etere personaggi come Linus, Albertino, Jovanotti, Fiorello. Anche Fargetta si impose tra i nomi di punta dell’emittente grazie al Deejay Time, il programma cult che spopolò negli anni Novanta. La trasmissione divenne infatti un punto di riferimento per i giovani, soprattutto per quelli che amavano la dance: Albertino scatenato davanti al microfono, mentre i Dj Fargetta, Molella e Prezioso lo supportavano ai ‘piatti’ con un mix di musica del momento. Da quell’esperienza la sua carriera è stata un crescendo di successi, con tante serate in consolle e milioni di dischi venduti tra l’Europa e gli USA. Dal 2006 ha cominciato a usare anche lo pseudonimo Get Far, con il quale ha realizzato diversi lavori tra cui la hit Shining Star, interpretata dal musicista israeliano Sagi Rei, che ha raggiunto le prime posizioni in Francia, Belgio, Olanda e Italia. Dopo aver lasciato Radio Deejay nel 2010, si è dedicato totalmente all’attività di producer: ha lanciato in Rete la sua nuova trasmissione We Are Massive Radio Show, disponibile ogni settimana in download su iTunes, e ha fondato l’etichetta discografica Get Over Records, facendo i conti con i cambiamenti generati dall’evoluzione tecnologica. E ultimamente ha anche ritrovato i suoi vecchi amici, Albertino, Molella e Prezioso, con cui è impegnato nel Deejay Time Reunion Tour, che il 12 settembre arriverà a Torino e il 26 dello stesso mese farà tappa a Milano.

Mario, com’è cambiata la figura del Dj rispetto a quando hai iniziato?
Una volta il Dj era quello che lavorava in discoteca, che si metteva alla consolle e con giradischi e vinili faceva ballare le persone. Con l’arrivo delle radio private poi cominciavano a comparire gli speaker, che avevano dietro di loro persone che tecnicamente lavoravano per mixare i brani in trasmissione. Spesso erano tecnici, che poi sono diventati Dj anche loro. Oggi invece i percorsi sono molto diversi, la tecnologia ha cambiato le peculiarità di questa figura, che non ha più bisogno di giradischi e vinili, ma spesso ha un lettore cd e gli basta spingere qualche tasto per selezionare i pezzi. Non intendo demonizzare l’evoluzione tecnologica, sono convinto che il risultato finale sia la cosa più importante.

Tu hai vissuto diverse stagioni radiofoniche, anche in questo ambito ci sono stati tanti cambiamenti?
Rispetto al passato mancano personaggi radiofonici che abbiano personalità. C’è anche da dire che oggi alle radio non interessa più investire sui Dj, non hanno a cuore la loro crescita professionale. Per loro conta solo la programmazione musicale. Io penso alla Radio Deejay di Claudio Cecchetto, fucina di talenti che negli anni Ottanta lanciò artisti come Jovanotti e Fiorello. Ecco, all’epoca in radio si puntava sul Dj, che aveva modo di fare esperienza e di imporre anche la propria personalità. Da sempre per fare questo mestiere è fondamentale parlare un italiano corretto e fluente e avere una voce radiofonica. Quando uscì Jovanotti, per esempio, in molti rimasero perplessi perché non aveva una voce radiofonica, ma compensava questa mancanza con una grande personalità.

Tu hai venduto milioni di dischi in tutto il mondo. Come ti rapporti con la crisi dell’industria discografica?
I numeri di un tempo non torneranno mai più. Bisogna fare i conti con l’avanzare delle nuove tecnologie e la diffusione del download illegale. Credo che oggi sia importante diventare un producer, facendo un buon lavoro creativo in studio e cercando di tirare fuori pezzi appetibili, sperando che poi vengano trasmessi. Oggi quasi quasi non conviene più vendere i brani, ma metterli in download gratuito, come hanno fatto già tanti artisti: è un buon modo per farli girare e gettare le basi per l’attività live.

Quindi oggi la dimensione live riveste un ruolo importantissimo?
Certamente, il live è una dei momenti essenziali per il Dj. Si lavora prettamente in funzione della serata. Quindi è fondamentale acquisire visibilità attraverso la propria musica. Io, per esempio, ho lasciato Radio Deejay da circa cinque anni e mi sono dedicato completamente all’attività di producer: ho la mia etichetta discografica, la Get Over Records, faccio la mia musica e, quando capita un artista interessante, mi piace lanciarlo. Se ne hai la possibilità, credo che attualmente sia il modo migliore per fare questo mestiere.

E poi sfrutti le potenzialità del web per la promozione?
Certo. Utilizzo tutti i canali social per diffondere le mie nuove produzioni. E non ho smesso con la radio: dal 2012 conduco un programma da me ideato, We Are Massive Radio Show, che viene diffuso su iTunes. La Rete ha grandi potenzialità, ma si tratta di un cane che si morde la coda: grazie al web, infatti, in un attimo il tuo lavoro può arrivare dall’altra parte del mondo, ma il problema sono gli investimenti per far sì che le persone si accorgano che c’è.

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