In fondo, continuiamo a guardare al Medio Oriente con uno sguardo ipocrita. Non ci hanno insegnato nulla le sommosse del 2011, né l’avvento dell’Isis. Ci lamentiamo per la distruzione dei templi di Palmira, delle chiese (raramente le moschee fatte saltare in aria dall’Isis guadagnano la prima pagina), mentre i nostri governi fanno prendere a manganellate chi da quelle terre scappa, come i siriani e gli iracheni in Macedonia.
Il Medio Oriente è la culla della nostra civiltà, ci insegnano da bambini, e se così fosse, dovremmo guardare rispettosi ai discendenti di quegli antichi che ci hanno tramandato la conoscenza e provare ad aiutarli. Così non è e probabilmente nulla cambierà. Non riusciamo ancora a identificarci con l’arabo. Siamo presi, assuefatti dal nostro orientalismo, a dividerli in base alla loro fede – un arabo cristiano e un arabo islamico –, quando dovremmo essere proprio noi, cultori di questa laicità diventata oggi così importante, a tentare di non fare differenze di religione.
Dico questo perché diversi paesi europei, Slovacchia per prima, hanno cominciato ad accettare rifugiati provenienti da Siria e Iraq con la condizionale che siano cristiani. E gli altri? Possono rimanere ai bordi della nostra fortezza, nei campi che diventeranno città. Questa discriminazione non è differente da quelle che fanno i fondamentalisti dai quali questi arabi, musulmani e cristiani, scappano e rappresenta quanto la fobia dell’Islam stia intaccando ogni sano ragionamento della nostra società.
Se la nostra civiltà, le nostre origini, si sente richiamare da delle pietre a Palmira, a Nineive, nel Medio Oriente tutto e non dagli abitanti di quelle terre, allora possiamo ben dire che siamo una civiltà già decaduta, moralmente vicina a chi tanto condanniamo.