Scorre il sangue al gran ballo del mattone. Intesa San Paolo si è ricomprata cinque palazzi che aveva venduto nel 2008, buttando 90 milioni. Telecom ha fatto un'operazione simile dopo essersi svenata per pagare affitti a Prelios, la ex Pirelli Re. Mentre il fondo Usa Hines ha acquistato da un fondo della stessa Prelios cinque palazzi presi in locazione dallo stesso ex monopolista
A Issogne, 1.400 anime in Val d’Aosta, l’unico sportello bancario è in affitto dal Comune. Il 4 giugno, il sindaco ha accettato di ridurre l’affitto mensile da 5.500 a 4.800 euro perché Banca Intesa, nell’ambito di una “razionalizzazione della rete sportelli”, minacciava di chiudere. La più grande banca italiana fa i conti con lo scoppio della bolla immobiliare. Ma sembra che il bello, cioè il brutto, debba ancora venire. Il Sole 24 Ore ha dato la notizia in piccolo: Intesa Sanpaolo ricompra cinque immobili “strategici” nel pieno centro di Milano, pagandoli 145 milioni. A fine 2008 li aveva ceduti per 100 milioni e da allora ha pagato affitti per 45 milioni. Bilancio della brillante operazione: buttando 90 milioni, la banca possiede i palazzi come nel 2008.
Il disastro immobiliare riguarda tutti i grandi gruppi. Telecom Italia nel decennio scorso ha venduto (riprendendoli in affitto) uffici e centrali telefoniche per miliardi di euro. Oggi calcola che il giochino gli costi 200 milioni all’anno. Nelle scorse settimane ha ricomprato dalla Prelios (la ex Pirelli Re che nell’era Tronchetti Provera comprava i beni della consorella) due edifici milanesi, uno in via Plana e uno a Cassina de’ Pecchi. Li aveva venduti nel 2004 per 26 milioni 510mila euro, e pagava un affitto di 2,4 milioni all’anno (9 per cento del valore). Siccome Telecom Italia paga alle banche il 5,4 per cento d’interessi, vendere e poi pagare l’affitto ha comportato un maggior onere di oltre il 3 per cento, quasi un milione all’anno.
Dopo aver buttato oltre 20 milioni in affitti, Telecom offre a Prelios 26 milioni e 430 mila euro, lo stesso prezzo del 2004: la crisi immobiliare a Cassina de’ Pecchi non è arrivata. Ma non c’è da preoccuparsi, è tutto sotto controllo. La Prelios prima di vendere ottiene un “parere di congruità” della Cbre, leader mondiale della consulenza immobiliare con prestigiosa sede milanese in via del Lauro. Un documento di 15mila caratteri senza un solo numero ma con molti aggettivi, così si conclude: “Riteniamo che il prezzo complessivamente offerto di euro 26.430.000 per l’acquisto dei due immobili in oggetto, perfettamente allineato alla somma del Valore di Mercato degli immobili, da Noi determinato alla data del 31/12/2014 (…) possa essere considerato congruo”. Offerta di Telecom e perizia degli esperti coincidono all’euro, che fortuna. Attenzione: gli immobili non sono della Prelios o del suo numero uno Massimo Caputi, il venditore è il Fondo Tecla che Prelios gestisce per conto di investitori, spesso fondi pensione. Ma a rassicurarli c’è la Cbre.
Alla bisca in cui è stato trasformato il mercato degli uffici ha fatto una buona giocata il fondo americano Hines, rappresentato in Italia dall’immobiliarista milanese Manfredi Catella. Ha comprato dallo stesso Fondo Tecla cinque immobili locati a Telecom tra Pavia, Monza, Sanremo, Parma e Roma. Telecom li aveva ceduti per 52 milioni, e paga 4 milioni di affitto (7,7 per cento). Hines offre 49,1 milioni. La Cbre con il solito diluvio di aggettivi certifica che il prezzo giusto sarebbe 56,2 ma, siccome è un momentaccio signora mia, il prezzo offerto “possa, volendo assicurarsi la vendita in questo momento congiunturale e di perdurante estrema difficoltà dell’economia nazionale, essere considerato congruo”. Affare fatto. Il compratore festeggia: “La natura strategica degli attivi e i contratti di leasing di lungo termine rendono l’acquisizione interessante”. Cioè: Telecom, strangolata dai contratti a lungo termine, continuerà a pagare un canone assurdo. In calce al comunicato si legge che Cbre ha assistito Hines nell’acquisto. Forse è un errore, perché Cbre assisteva anche Prelios nella vendita.
Chi vince al gioco delle tre carte? Forse perdono tutti. A fine 2008 Intesa Sanpaolo ha conferito al Fondo Omega, gestito dalla Fimit, guidata allora dal solito Caputi, oggi a Prelios, 284 immobili al prezzo di 850 milioni di euro, 2mila euro al metro quadro. Il mantra era “valorizzazione”. Tra i pezzi pregiati di cui Caputi si vantava c’era la famigerata sede romana di Intesa in via della Stamperia, acquisita a soli 17,5 milioni. L’ha rivenduta due anni dopo a 26,5 milioni al senatore Pdl Riccardo Conti che il giorno stesso l’ha girata a 44,5 milioni all’ente previdenziale degli psicologi. La Consob ha multato Caputi (80mila euro) per aver “dolosamente omesso di perseguire l’interesse dei partecipanti del Fondo Omega”.
È evidente che Intesa Sanpaolo aveva conferito a prezzi di saldo. Nel giro di un anno i mitici valutatori indipendenti hanno certificato per il Fondo Omega un aumento di valore del 66 per cento. Ma il fondo previdenziale dell’Imi Sanpaolo, che aveva comprato il 23,5 per cento del Fondo, nel 2010 ha cercato di vendere le sue quote senza trovare compratori. Insospettiti, i gestori del fondo, cioè dei soldi dei lavoratori, hanno iscritto a bilancio un taglio del 20 per cento del valore di Omega.
I regali fatti da Intesa, Telecom Italia e altri (Unicredit fece la stessa operazione di Intesa creando Omicron Plus) non sono bastati a far volare i fondi immobiliari, perché con la crisi i prezzi sono crollati. È un problema da miliardi di euro. Degli 850 milioni del Fondo Omega solo 360 li hanno messi i quotisti, gli altri li hanno prestati le banche, Intesa in testa. Pensavano di far girare i soldi: ti svendo gli immobili, ti pago affitti da strozzo, ma tu poi mi paghi salatissimi interessi. Lavoriamo tutti, ci prendiamo il premio a fine anno e i fondi pensione pagano. Ma lo schema è saltato. E adesso tocca alle banche salvare i fondi immobiliari, ricomprando a 145 ciò che vendettero a 100 quando i prezzi erano più alti.
da Il Fatto Quotidiano del 26 agosto 2015
Pubblichiamo di seguito la replica
In relazione all’articolo, “Fondi immobiliari, chi paga il conto della Grande Bisca”, si precisa che durante la gestione Pirelli, la gran parte degli immobili di Telecom Italia fu ceduta a JV partecipate da primari investitori internazionali, cui Pirelli Re (oggi Prelios) partecipava sempre con quote di minoranza (25%). Tali cessioni comportarono per Telecom Italia un ritorno sugli investimenti “core” stimato a circa il 10,5-11%, superiore al costo degli affitti pagati, pari al 7-8%. Non si può pertanto parlare di una “Telecom strozzata dagli affitti di Prelios”. Operazioni analoghe furono realizzate in quegli anni anche da altri grandi gruppi telefonici quali, ad esempio, France Telecom, British Telecom, Deutsche Telekom, Kpn, Swisscom e Telenor. Si ricorda infine che la gran parte degli immobili di Telecom fu ceduta durante la gestione precedente a quella Pirelli.
Purtroppo per l’Ufficio Stampa Pirelli l’idea che per Telecom Italia sia stato un affarone non ha convinto gli attuali azionisti e manager, che stanno correndo precipitosamente ai ripari.