Il 27 agosto 2015 per Giuliano Poletti rimarrà una data da dimenticare. Prima la figuraccia degli errori sui dati dei nuovi contratti a tempo indeterminato, che sono la metà di quelli forniti dal suo ministero. Poi la discussione in Cdm degli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs act che slitta a settembre. E a fine serata il dibattito sul mondo del lavoro alla Festa dell’Unità di Milano insieme a Susanna Camusso. Che dal palco alza i toni per attaccare il governo che “se la prende con i lavoratori e non fa altrettanto con corrotti ed evasori”, e incassa l’ennesimo applauso. Il ministro del Welfare non ci sta: “Non accetto che si tolgano dal tavolo le cose che il Pd e questo governo ha fatto per cambiare questo Paese”. La platea già inizia a mugugnare. Poletti insiste citando il tetto agli stipendi dei dirigenti: “Sennò col cavolo…”. Ma poi decide di citare la riforma elettorale e quella del Senato, e partono i fischi. Il ministro non molla, e rilancia: “Abbiamo fatto cose che si possono condividere o non condividere, ma che non si possono cancellare, perché le abbiamo fatte”. Altre proteste. Nemmeno i pochi che ancora seguono i dibattiti alle feste del Pd condividono: proprio una brutta giornata
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