Tre anni di carcere a tre giornalisti di al Jazeera. È la sentenza emessa dal tribunale del Cairo per i giornalisti accusati di aver “diffuso false informazioni” a favore dei Fratelli Musulmani e del deposto presidente Mohamed Morsi. I tre sono sono l’australiano Peter Greste, l’egiziano-canadese Mohamed Fahmi e e il producer egiziano Baher Mohammed.
“Un affronto alla giustizia, la campana suona a morto per la libertà di espressione in Egitto: un verdetto ridicolo che colpisce al cuore la libertà di espressione in Egitto. Le accuse contro Mohamed Fahmy, Peter Greste e Baher Mohamed sono state sempre prive di fondamento e politicizzate, non avrebbero mai dovuto essere arrestati e processati”, è stato il commento di Philip Luther, direttore per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International.
I giornalisti furono arrestati il 29 dicembre 2013 in un hotel dove soggiornavano al Cairo e il processo di primo grado era arrivato a sentenza il 23 giugno del 2014: Peter Grestie e Mohamed Fahmi erano stati condannati a 7 anni di reclusione, mentre Mohamed Baher a 10 anni . Più dura la condanna a Baher venne perché trovato in possesso, secondo l’accusa, di un proiettile. La sentenza scatenò critiche e polemiche da parte di associazioni che difendono la libertà di stampa e attivisti per i diritti. Il 1 gennaio 2015 la corte di Cassazione ha annullato il processo di giugno e ha disposto che venisse rifatto. Il primo febbraio 2015 le autorità egiziane hanno rilasciato l’australiano Greste e lo hanno espulso dal Paese. Gli altri due reporter furono poi scarcerati su cauzione, ma restano in regime di libertà vigilata.
“Scioccato. Offeso. Arrabbiato. Niente di tutto ciò descrive come mi sento adesso. Una condanna a tre anni è totalmente sbagliata”, scrive su Twitter Peter Greste. “La condanna a tre anni per i giornalisti di al Jazeera è una sentenza contro la libertà di stampa”, ha commentato Amal Alamuddin Clooney, avvocatessa impegnata nella difesa dei diritti umani e moglie dell’attore George Clooney, che nel processo difende Fahmi. “Con la sentenza – continua l’avvocato che era presente in aula – si invia un messaggio molto pericoloso in Egitto, che i giornalisti possono essere arrestati solamente perché stanno facendo il loro lavoro e che in Egitto ci sono giudici che permettono che le loro aule diventino strumenti di repressione politica”.
Dopo la lettura delle sentenze i condannati, che erano arrivati autonomamente in tribunale, sono stati arrestati dalle forze di sicurezza. Non però Peter Greste, che è stato rimpatriato in Australia dalle autorità egiziane a febbraio. Inoltre Fahmi, di nazionalità canadese, ha rinunciato al passaporto egiziano sperando che venga applicata una misura simile a quella del collega australiano.