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Le seconde scelte sul rampante del capitalismo di relazione italiano (le prime- quelle glamour, ma anche refrattarie ad accreditare parvenu – sono scomparse dal panorama nazionale ormai da tempi immemorabili; dall’avvocato Agnelli a Leopoldo Pirelli), possono affannarsi e pure stracciarsi le vesti: il tentativo del loro beneamato premier di allestire il Partito della Nazione ha subito una battuta d’arresto, probabilmente irrimediabile. Ossia il progetto caro a Matteo Renzi di assemblare pezzi dell’elettorato berlusconiano (Legge, Ordine e Privilegio patrimoniale) con la storica base ex comunista, rintronata con robuste dosi di blairismo gabellato per modernità.

Spiace la nemesi bizzarra per cui il suo naufragio avvenga ora sugli scogli dell’immigrazione; proprio quando il cinico e anaffettivo uomo di potere, in un inaspettato sussulto di umanità, proclama il principio prioritario di salvare vite disperate in balia del Mediterraneo, qualunque sia il colore della loro pelle.

Una presa di posizione – comunque – che non redime “a sinistra” chi si è adornato di scalpi di altra “povera gente”, per compiacere quella (per così dire) “bella gente” che brilla nel cono di luce dei propri obiettivi perseguiti: l’idea semplificatoria che la società si governi imponendo obbedienza (rinominata “efficienza” o “Jobs Act”) e la si riorganizza secondo modelli verticistici autoritativi top-down (rinominati “competitività meritocratica” o “La Buona Scuola”).

Nonostante l’ostentazione di un repertorio propagandistico cucito in maniera palese sul figurino della Maggioranza Silenziosa, le elezioni regionali hanno detto chiaramente che lo sfondamento a destra non avviene; con riscontrabile esaurimento dell’avventura renziana nell’empireo della politica. E i sondaggi confermano il trend.

Per questo altri progetti appaiono in lavorazione per “il dopo”, che si concentrano sulla sfida di tenere insieme quella che in Francia chiamano “la lepénisation des esprits” (il crescere di una radicalizzazione del discorso politico sui temi del risentimento sciovinistico, che si traduce in una messe crescente di voti) e la contestuale necessità da parte di questa destra di raggiungere quelle soglie di rispettabilità che la rendano metabolizzabile dagli ambienti “benpensanti”; la finanza come i rentiers. Un soggetto che possa intercettare paure e risentimenti contro qualsivoglia bersaglio, all’insegna di un tradizionalismo di pura fantasia (la genia degli imbarazzanti/impresentabili, dalla Daniela Santanché anti-islamica al sindaco di Venezia anti-gay), e – al tempo stesso – sia in posizione di poter dialogare con le centrali del dominio reale, nazionali ed europee; dalle banche alle varie massonerie, con grembiule o meno.

I motivi per cui già altre volte questo blog ha segnalato quanto sta avvenendo nel laboratorio di Regione Liguria, in cui la giunta guidata da Giovanni Toti sta rapidamente consolidando la propria posizione attraverso la sperimentazione di assetti che – in prospettiva – potrebbero trovare ripresa a livello nazionale, nel momento in cui esplodesse la crisi terminale dell’esperimento renziano, nato come rinnovamento radicale della politica (“Rottamazione”) e rivelatosi espediente per occultare il profondo discredito del ceto di partito nei fumi parolai degli effetti speciali.

Lo schema ligure – quindi – può essere la tattica di rincalzo al servizio del disegno auto-perpetuativo della Casta (perché nulla cambi grazie alle retoriche mediatizzate del cambiamento). E non a caso incontra resistenze da parte di Silvio Berlusconi, in quanto ne intuisce l’aspetto che più paventa: la necessità della sua messa da parte. Difatti ha bacchettato il pur fido Toti quando propone primarie a destra.

Il governatore ligure – conscio della propria attuale precarietà – è rientrato immediatamente nei ranghi. Ma in suo soccorso sono arrivati subito i vertici leghisti e parte dei quadri berlusconiani. Dunque lale “prove generali” vanno avanti.

Nella balcanizzazione del PD ligure gli unici che oggi possono contrastarlo in Regione sono i ragazzi Cinquestelle. Sempre se si rendono conto dell’importanza – di certo non solo locale – di una battaglia che colga nel profondo il senso (inquietante) delle operazioni in corso.

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