“Lei stessa rimaneva sorpresa dalla propria incertezza. Per lungo tempo aveva creduto che la linea di demarcazione che definiva e divideva la sua esistenza fosse segnata dalla scomparsa di Justin. Prima, dopo. Luce, tenebre. E invece no, il vero spartiacque era stato il suo ritorno a casa”.
È proprio qui, in questo misterioso confine, in questo territorio narrativo nuovo, che si trova la grande originalità di Ricordami così (traduzione di Federica Aceto, Einaudi) di Bret Anthony Johnston, esordiente americano che secondo il New York Times ha scritto uno dei romanzi più importanti del 2014.
Tutti possiamo immaginare la grande incertezza provocata dall’assenza di qualcuno, qualcuno che un giorno, di colpo, scompare. Ma è molto più difficile immaginare lo sconcerto che può provocare la presenza di quella stessa persona se, dopo tanto tempo, altrettanto all’improvviso, riappare.
In un certo senso, questo paradosso è stato analizzato dalla serie televisiva scritta da Emmanuel Carrère, Les Revenants. Cosa succede se qualcuno che credevamo morto ricompare all’improvviso e ricomincia a vivere in mezzo a noi come se niente fosse? La storia di Justin però è diversa dalla serie, che si fonda su un principio di irrealtà (niente meno che la resurrezione dei morti). Ricordami così, nella sua crudezza, è molto più vicino ai casi di cronaca di Chi l’ha visto o alla storia intensa e straziante che racconta Concita De Gregorio nel suo libro sulla madre delle gemelline sparite in Svizzera (Mi sa che fuori è primavera, Feltrinelli).
In maniera molto realistica, Bret Anthony Johnston racconta la storia di una famiglia texana, una famiglia normale – madre, padre e due ragazzini – che non sa bene come fronteggiare la perdita della normalità. Justin, il figlio maggiore, una sera scompare. Ma la tragedia vera va in scena dopo, quando apparentemente è superata. Passano quattro anni e il bambino, ormai adolescente, viene ritrovato in un mercato delle pulci mentre compra dei topolini per il suo serpente. Viene subito restituito alla famiglia, incredula per la felicità. L’ombra dell’accaduto però – per quattro anni è stato sequestrato e violentato – oscura ogni tentativo di ricominciare come prima. Quando poi il responsabile, in carcere sotto cauzione, viene liberato in attesa del processo, si apre definitivamente il baratro. Che è un precipizio di non detti. Tutti cercano di fare finta di niente per non turbare gli altri, ma queste continue acrobazie alla fine sottolineano ancora di più il vuoto in cui sono costretti a muoversi: “Ormai c’era stata una spaccatura in quella giornata, era come se ognuno stesse andando alla deriva trasportato da una corrente diversa”.
Il romanzo sostanzialmente racconta quello straziante corpo a corpo con la normalità perduta a cui costringe ogni tragedia. Quando salta in aria ogni riferimento e non esistono più cose rassicuranti e note, e non resta che rifondare i gesti – uno per uno – e inventarsi un equilibrio diverso, che tenga conto delle zone oscure e del loro peso specifico, così difficile da misurare. E la cosa più triste è che alla fine del percorso, non è nemmeno chiaro se questa fatica ci renda più umani o ci disumanizzi.