Una simpatica e attivissima amica femminista mi manda un messaggio per dirmi che non sarà al seminario di Altradimora nel primo week end di settembre, il cui tema impegnativo è Quale libertà nel mio piacere? Sessualità, eros, desiderio, mercato.
“Del resto ho quasi raggiunto la pace dei sensi”, chiosa. Una battuta, certo.
Ma è interessante come riveli la stretta connessione inconscia che c’è, a partire dal linguaggio (e la lingua precede e dà forma alla realtà) tra sessualità e guerra.
Le metafore belliche legate all’amore, ai sentimenti e alle relazioni tra i corpi le impariamo e facciamo nostre, spesso senza ragionarne, tra i banchi di scuola, nella poesia e nella letteratura: espugnare il cuore, vincere le resistenze, lanciare dardi e frecce, in amor vince chi fugge, tutto è concesso in amore e in guerra.
Parole, sì, solo parole, che non significano che poi si passi alla messa in pratica, e quindi che per ‘vincere’ nella erotica tenzone si tirino frecce vere. Però ecco alcuni spunti di realtà: molte ragazze nelle scuole italiane che incontro nella formazione sul rispetto tra i generi minimizzano i ceffoni dati dai fidanzatini per gelosia, nel fraseggio comune si conviene che una certa rudezza è lecita nel corteggiamento, perché spesso le donne dicono no ma pensano sì e quindi vanno ‘convinte’ con energia, sulla stampa il femminicidio è ancora un delitto passionale.
La cultura diffusa accetta che l’amore ammetta una modica quantità di violenza tra le persone, che dal verbale può diventare concreta.
Poi c’è la pornografia, che ormai è il primo veicolo con il quale sin dalle elementari si apprende la sessualità, spesso senza la mediazione con le persone adulte di riferimento (familiari, insegnanti, operatori sociali e sportivi): come brutalmente spiega il documentario The price of pleasure. Non si tratta più di donne nude, ma di umiliazione, sottomissione e violenza: è questo che passa dagli occhi alla mente di milioni di bambini, bambine e adolescenti.
Come questo incida negativamente nelle relazioni è un tema presente anche tra chi, nel femminismo, non è contro il porno. Erika Lust, per esempio, è una femminista svedese che produce porno ‘dalla parte delle donne’, e in un suo spiritoso e appassionato Ted ammonisce che è ora che il porno cambi: “Il sesso può essere sporco, ma i valori devono essere puliti”, dice.
La sessualità, il suo mutare con l’evoluzione della storia umana, le sue implicazioni con la libertà e il potere é stato il tema centrale, (e ancora lo è) nello sviluppo del pensiero femminista. Alcuni dei testi più importanti del femminismo hanno la parola ‘sesso’ nel titolo: La politica del sesso di Kate Millet, Questo sesso che non è un sesso di Luce Irigaray, il Secondo sesso di Simone De Beauvoir, solo per citarne tre dei più poderosi.
Rispetto a quei testi storici sono cambiati in modo rilevante il linguaggio e lo sguardo sull’argomento, e oggi esistono visioni femministe assai distanti e discordanti sulla connessione tra sessualità, libertà e desiderio, dal momento che non è più possibile ragionare di sessualità senza parlare di mercato, il mercato globale dove tutto si compra, compreso pezzi di carne umana, senza molta differenza tra servizi sessuali, schiavitù, lavoro, diritti e responsabilità, individuale e collettiva.
In questa aggrovigliata matassa anche alcuni uomini stanno ragionando, nominando la responsabilità del loro genere sull’argomento, rendendosi disponibili al confronto. E che bellezza trovare il contributo del filosofo Alain De Button, che per la sua Scuola di vita ha prodotto il video La filosofia del sesso orale
Chissà se nella scuola superiore italiana, assediata dall’onda oscurantista delle sentinelle in piedi e i buoni ultimi nogender questo video si potrà diffondere.