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Migranti, ora Regno Unito vuol chiudere porte a italiani: “No ai turisti del welfare”

Il ministro dell’Interno Theresa May sul Sunday Times: "La libertà di movimento sia la libertà di trasferirsi verso un lavoro certo”. Tradotto: basta a chi passa la Manica senza un contratto in tasca. Compresi i 57mila cittadini della Penisola arrivati in Gran Bretagna tra marzo 2014 e lo stesso mese del 2015. Il governo Cameron corre ai ripari dopo il fallimento del piano di limitare l'immigrazione netta a 100mila persone l'anno

Mentre tutta l’Europa è alle prese con la crisi dei migranti extracomunitari, il Regno Unito ha lanciato un appello per l’inversione della tendenza che ha visto, negli ultimi anni, arrivare sul suolo britannico decine e decine di migliaia di cittadini europei. Desiderosi di trovare un lavoro e di cambiare vita, spesso in fuga da un’Europa meridionale – ma non solo – dove il lavoro scarseggia e le condizioni sono decisamente più difficili. Ancora non si sa se l’editoriale scritto dal ministro dell’Interno Theresa May e pubblicato dal Sunday Times in edicola domenica 30 agosto sia l’anticipazione di una vera misura da parte del governo di Sua Maestà. Chiaramente, il Regno Unito è in Europa a tutti gli effetti e non può limitare la libertà di movimento.

Esistono tuttavia diversi ‘trucchetti’ potenzialmente in mano a qualsiasi esecutivo nazionale dell’Unione, quello britannico compreso, per rendere la vita più complicata ai cittadini europei e scoraggiarne l’arrivo: dal taglio del welfare a norme più stringenti sulle assunzioni. Di certo però May, donna forte dell’esecutivo conservatore guidato da David Cameron, è stata chiara: “La libertà di movimento sia la libertà di trasferirsi verso un lavoro certo”. Come a dire: basta a tutti quelli, italiani compresi, che arrivano al di qua della Manica senza uno straccio di occupazione in tasca.

Gli italiani, appunto. I dati diffusi pochi giorni fa hanno mostrato come ben 57mila italiani si siano trasferiti nel Regno Unito fra il marzo del 2014 e lo stesso mese del 2015, facendo parte di quei 330mila nuovi immigrati nella terra di Sua Maestà. Italiani che nella stragrande maggioranza dei casi arrivano senza un lavoro, si sistemano, trovano una casa e cominciano spesso la loro carriera in un ristorante, una pizzeria o una caffetteria. Per poi progredire e a volte trovare, con molta pazienza e determinazione, un lavoro nel settore che preferiscono. May, in realtà, oggi ha puntato il suo attacco soprattutto contro quei “turisti del welfare” che si trasferiscono a Londra e dintorni per poi chiedere assegni di disoccupazione o per usufruire della sanità gratuita – non sempre eccellente, tuttavia – e di altri aiuti alle famiglie e ai figli. Una minima parte chiaramente, forse estremamente ridotta, che tuttavia trova ampio risalto sui quotidiani di destra e sui tabloid scandalistici, che se la prendono contro quelli che sono chiamati “benefit cheaters”, gli “imbroglioni del welfare”. Un fenomeno enfatizzato dai media britannici, a seconda del particolare momento storico, e che si è accentuato da quando una parte della politica ha lanciato la sua campagna per la Brexit – l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea – e per ridurre il flusso dei nuovi cittadini in arrivo da tutto il mondo.

Nuovi residenti, questi ultimi, che crescono a ritmi definiti più volte dalla politica “spaventosi” e che soprattutto hanno mandato all’aria il piano dell’esecutivo, rilanciato anche prima delle elezioni politiche dello scorso 7 maggio che hanno riconfermato il partito conservatore, di limitare l’immigrazione netta a 100mila unità l’anno. Al momento, appunto, la quota è stata più che tripla, ma si teme che problemi greci, disoccupazione in Spagna e in Italia, povertà relativa nell’Europa orientale non possano far che aumentare sempre più anche gli europei desiderosi di vivere sulle isole britanniche. “L’immigrazione netta in questa misura è semplicemente insostenibile”, ha scritto così il ministro May sul Sunday Times. “Perché causa pressione sulle infrastrutture, come l’edilizia e il sistema dei trasporti, e sui servizi pubblici, come le scuole e gli ospedali”.

Il referendum per l’uscita del Regno Unito dalla Ue è previsto per il 2017, ma secondo molti commentatori potrebbe essere annunciato anche per la seconda metà del 2016. Il risultato di questa consultazione è ancora imprevedibile. Ma una Brexit potrebbe dare sicuramente a Londra mano libera per porre fine a quei desideri di rinascita e di cambiamento di moltissimi europei. E per bloccare quelle scelte di tanti italiani, decisioni quasi sempre sofferte e di sicuro complicate, di andare a vivere in una qualche città del regno, ma soprattutto nella metropoli del Tamigi e del Big Ben.