Con la stessa logica burocratico/clientelare che ha autorizzato la proliferazione di costosi, inutili e agonizzanti scali (Cuneo, Albenga, Salerno, Foggia, Crotone, Taranto, Comiso e Perugia), adesso, con decreto il Consiglio dei ministri ha scelto 38 aeroporti nazionali e ne classifica ruoli e funzioni. Si tratta di un atto di pianificazione sterile approvato giovedì scorso ed ora trasmesso al Presidente della Repubblica.
Dopo aver bruciato centinaia di milioni di euro per assecondare le velleità dei politici locali ed aver piazzato aeroporti in tutta la penisola, ora viene sfornato un Piano aeroportuale che non gira pagina con il passato. Così aeroporti “storici”, come Bergamo (10 milioni di passeggeri/anno), Linate (9,2 milioni), Verona (2,7) Genova (1,2) Trapani (1,6), Roma Ciampino (5) e Trieste(0,8) si trovano retrocessi ad aeroporti di interesse nazionale. Restano 15 scali classificati “strategici”, di cui 3 (Fiumicino, Malpensa e Venezia) sono stati definiti “gate intercontinentali”.
I criteri utilizzati per questa sterile pianificazione, anziché essere quelli delle aree di traffico, della compatibiltà ambientale, del mercato e della loro accessibilità, sono stati quelli di stampo campanilistico (macroaree geografiche). Nella pianificazione ci si riferisce a reti europee (Ten-T) rimaste sulla carta e al tentativo di risolvere in modo dirigistico questioni che invece riguardano l’efficienza, la competitività dei servizi e delle tariffe, non presenti a Fiumicino (collassato da Maggio) e a Malpensa da quando è nata. Le suddivisioni geografiche inserite nel decreto spingono i concessionari aeroportuali più alla loro cartellizzazione che ad economie di scala. Si chiude la porta alla concorrenza, peraltro inesistente, visto che gli aeroporti sono “monopoli naturali” e ciò non ha giovato e non gioverà alle compagnie aeree operanti in Italia e ai passeggeri.
Sorprende che Venezia, scalo point-to-point, venga considerato gate intercontinentale. Non si è dato una priorità ai sistemi aeroportuali come quello di Milano e Roma, considerando solo gli scali principali strategici e non gli altri aeroporti, che compongono il sistema che spesso ha ruoli ancor più importanti degli scali principali come Linate e Ciampino. Merita un’osservazione particolare il declassamento Brescia e Verona, gli unici due aeroporti che oltre ad avere un’importante riserva di capacità aeroportuale disponibile (le capacità del 90% degli scali sono nettamente superiori alla domanda) non possono non essere presi in considerazione se si vuole sviluppare ed incrementare il turismo e l’export italiano.
Un’analisi economica, costi/benefici e della redditività degli investimenti realizzati scalo per scalo, avrebbe dato al Ministero delle Infrastrutture parametri oggettivi per articolare un vero e leggero Piano aeroportuale e per tracciare linee di sviluppo che guardassero all’utenza e all’ambiente più che alle beghe campanilistiche cui assistiamo da troppo tempo che hanno portato lo scorso anno ad avere due piani aeroportuali. Un piano fatto di poche e chiare priorità era ciò che serviva, ma neppure il governo di Matteo Renzi è riuscito a mettere ordine e a razionalizzare un settore che dà uno scarso contributo, 3,6%, al Pil nazionale quando la media Ue è del 4,1%, ma un importante sostegno alla politica clientelare locale.