“L’Italia ha approvato riforme virtualmente senza interruzione per vent’anni. Ma hanno avuto scarso impatto perché sono state spesso superficiali e mal implementate, senza un senso coerente”. E ancora: “Arrestare il declino richiede un cambio di direzione delle politiche, ma l’Italia non sembra aver deciso dove vuole andare. I suoi leader si esprimono a favore di tagli delle tasse e riduzioni della spesa, ma le tasse, la spesa e i debiti continuano ad aumentare e fare le riforme ha finito per essere visto di per sè come un merito”. La diagnosi è dell’agenzia di stampa britannica Reuters, che dedica una lunga analisi al “perché le riforme in Italia non funzionano così bene”.

Spunto per l’articolo sono alcune recenti dichiarazioni del premier Matteo Renzi, che “questo mese ha detto che “nessuno ha fatto così tante riforme in così poco tempo”, richiamando alla memoria rivendicazioni di Monti e di Silvio Berlusconi“. Pochi di quegli interventi però sono operativi, e “gli ostacoli sono gli stessi con cui si sono dovuti confrontare i primi ministri del passato”.

L’economista Mauro Pisu, capo del desk Italia dell’Ocse, spiega al reporter che molte riforme approvate dal Parlamento non sono andate del tutto a regime perché sarebbero stati necessari ulteriori decreti attuativi. E anche quando l’iter viene completato, “spesso le riforme vengono semplicemente ignorate”. “Puoi approvare tutte le riforme che vuoi”, chiosa Pisu, “ma non aiutano se la pubblica amministrazione non lavora in modo adeguato per metterle in pratica”. In più, “le riforme in Italia sono state tendenzialmente marginali e hanno protetto gli insider, coloro che hanno i cosiddetti “diritti acquisiti“, penalizzando invece i giovani”.

Ecco allora spiegato perché “gli ultimi 20 anni hanno visto almeno quattro importanti riforme del mercato del lavoro, tre della pubblica amministrazione, tre del sistema scolastico e innumerevoli cambiamenti del sistema giudiziario“, ma i risultati sono “nessuna crescita economica dal lancio dell’euro e il tasso di occupazione più basso dell’Eurozona dopo quello della Grecia, la più bassa quota di laureati nell’Unione europea e il sistema di giustizia civile più lento, secondo Eurostat e Ocse”.

L’analisi si chiude con la ricetta di Vito Tanzi, ex direttore del dipartimento Politiche fiscali del Fondo monetario internazionale (prima di Carlo Cottarelli), secondo cui “l’Italia ha bisogno di una rivoluzione culturale, politica e amministrativa. L’idea che questo possa essere ottenuto con più flessibilità di bilancio e usando gli stessi modelli del passato, con qualche piccolo adattamento, sarebbe una tragica illusione“.

 

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