Lo dico subito: quando Stephen Hawking ha detto che si può uscire dai buchi neri, ho subito pensato alla metafora perfetta. Via per un attimo, quindi, la realtà di quello che stava dicendo, la mia laurea in fisica, e la teoria che ha esposto, ho subito e solo pensato alle volte nella vita che hai bisogno di una parola giusta per uscire, appunto, da un buco nero. Non è un caso se quella frase l’abbia detta proprio lui, non è un caso che i grandi abbiano affrontato già da tempo questo tema, non è un caso se, proprio su questo argomento, ci si è soffermati pochi giorni fa in una serata stupenda, che ho avuto il privilegio di vivere da vicino, a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, dove veniva assegnato il premio Cesare Pavese (premio che abbiamo vinto con il nostro libro!).
Dunque, vado con ordine: Hawking sostiene di aver scoperto un meccanismo “attraverso il quale le informazioni riescono a trovare una uscita dal buco nero”, focalizzando l’attenzione sul paradosso delle informazioni. Secondo le sue precedenti teorie i buchi neri emettono delle radiazioni che farebbero perdere energia al buco stesso fino a farlo scomparire. L’inglese ha proposto una possibile soluzione a questo quesito: “Io credo che le particelle che entrano in un buco nero, lascino traccia delle loro informazioni. Quando con il fenomeno della radiazione le particelle escono fuori nuovamente, portano fuori le informazioni, conservandole”. Hawking sostiene che le informazioni che entrano nei buchi neri possono trasformarsi in due modi: o in una sorta di ologrammi sul ciglio del buco nero, oppure trovano una via d’uscita verso un universo alternativo. “Il buco nero avrebbe bisogno di ingrandirsi e così facendo, ruotando, si scava un passaggio in un altro universo. Ma non si può più tornare al proprio universo. Il senso di questa conferenza è che i buchi neri non sono così neri come li abbiamo pensati fino ad oggi. Non sono quelle eterne prigioni. Qualcosa può uscirne, magari sbucando in un altro universo”. E’ una nuova teoria che sfida la relatività generale elaborata ad inizio secolo da Einstein, la quale sostiene che il campo gravitazionale, in un buco nero, è così forte che qualsiasi cosa ci caschi dentro non riesce più a uscirne, luce compresa. Se la teoria fosse corretta allora i buchi neri non sarebbero più quei pozzi senza fondo pronti a inghiottire qualsiasi cosa si avvicini, ma bensì una porta per uscire dall’altra parte. Ma veniamo alla metafora: Einstein la usava a sua volta. Ho letto di recente un suo libro “Pensieri degli anni difficili“, edito da Bollati Boringhieri nel 2006. Lui raccontava della difficoltà di uscire dai pensieri che attanagliano l’uomo, erano pensieri immensi, i suoi. Mai di piccole cose. La guerra, la repressione, gli istinti primitivi che portano sofferenza, gli ordini precostituiti che venivano dall’alto.
Einstein cercava, come si legge dal libro, con riflessioni profonde, di trovare la via d’uscita. I valori della scienza e quelli etici furono le sue fondamenta, il suo credo. La fisica, per Einstein, è animata sempre dai valori di un’umanità civile: amore della verità per se stessa, rispetto per il disaccordo, indipendenza e libertà d’espressione. E usava la scienza, per avere una soluzione mondiale ai dolori: se i valori in cui credeva erano calpestati, l’umanità poteva guardare verso un futuro più luminoso usando le sole basi scientifiche. Ecco che, in queste mie riflessioni, in questi voli pindarici, ora entrano in gioco anche Roberto Vecchioni e Giancarlo Giannini, due giganti pensatori, che su questo argomento in particolare hanno aperto la strada a tanti, soprattutto a chi, come me, era presente lo scorso week end al premio Cesare Pavese (apro una parentesi per dire, con una certa soddisfazione, che lo abbiamo vinto con il nostro libro “Sono ancora un bambino”, edizione Longanesi) a Santo Stefano Belbo. Perché, il grande cantautore, ha parlato a lungo del senso della vita, della ricerca del bello, della parola come strumento per trovare la salvezza: i suoi studi di greco, la necessità di una costante e continua lettura, per cercare la strada per uscire dai momenti difficili, dalle tragedie, dai buchi neri esistenziali. Vecchioni ha messo un chiaro, netto segno per terra: ha tracciato il confine per la definizione di speranza, di crescita, di bellezza. Ho parlato a lungo con lui (e le sue parole finiranno nell’introduzione di uno dei due libri che sto per dare alle stampe, evviva, che immensa soddisfazione, un angelo custode dei sogni), e come spesso mi succede, quando parlo con un intellettuale di questo spessore, trovo la luce in quello che dice: con la semplicità, con la chiarezza, con la facilità di chi ha riflettuto tanto sul senso della vita, sulle delusioni, sui grandi temi esistenziali.