Foto di Nico Bustos
La madrina di quest’anno del Festival del cinema di Venezia sarà Elisa Sednaoui, luminosa attrice e top model di 27 anni dagli occhi verde-azzurro e dal fascino esotico nata a Savigliano, in Piemonte, a 10 chilometri da Bra, dove dopo i primi sei anni vissuti in Egitto si è trasferita con la famiglia frequentando le scuole locali. Introdotta nel mondo della moda a soli 14 anni da sua madre, ex indossatrice, dopo la maturità ha partecipato ad importanti campagne pubblicitarie, ha posato e sfilato a New York e Parigi, è diventanta musa di Karl Lagerfeld per il Calendario Pirelli e ha conquistato presto una diffusa notorietà internazionale. Rivelata recentemente in Italia dal film “Soap opera” di Alessandro Genovesi, in cui recita accanto a Fabio De Luigi, vive a Londra col marito, l’imprenditore anglobrasiliano Alex Dellal, e il loro figlio di due anni, Jack.
Con quale spirito affronta l’impegno di madrina a Venezia?
Con un sentimento di serenità, anche se ovviamente con l’avvicinarsi del fatidico momento in cui dovrò salire su quel palco e dire “Buonasera a tutti”, l’eccitazione si alza. Mi sa che bisogna respirare. Provo la pace di essere stata scelta esattamente per chi sono e anche, in sè, per il mio percorso atipico. Non sento la necessità di dover “provare” di essere all’altezza di niente. Penso che la posizione di madrina del Festival oggi possa assumere una dimensione più ampia, più culturale nel senso largo della parola. E sono felice di poter rappresentare la mia generazione. La responsabilità che provo nei confronti del dirigenti della Biennale che mi hanno scelta è quella di essere una madrina dinamica, simpatica, onesta, moderna e presente.
Ha seguito in passato il Festival, le è mai capitato di frequentarlo o di informarsi attraverso le cronache nelle passate edizioni?
Ho avuto l’opportunità di andarci tre volte prima di oggi. La prima è stata quando ho assistito alla premiere di “Io sono l’amore” di Guadagnino. Poi sono tornata il divertentissimo anno in cui “Black Swan” apriva il festival. Jessica Alba mi invitò in seguito a vedere “Machete” che adorai, e poi vidi anche “Somewhere” di Sofia Coppola. Il Festival di Venezia è più che magico. Per quanto mi riguarda, la magia è dovuta all’incomparabile paesaggio, al romanticismo del città, al fatto che ci si sposta in barca, all’energia di tutti coloro che ci sono passati prima… Dal Festival ci si lascia travolgere come da una favola.
Quanto ha contato avere una madre italiana, un padre egiziano, un’infanzia cosmopolita, la possibilità di vivere e lavorare all’estero e di parlare cinque lingue?
Tutto, è la quintessenza di chi sono, un prodotto della globalizzazione, della curiosità, dell’accettazione. So adattarmi e sentirmi a casa dovunque perchè i miei genitori mi hanno insegnato a sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione, al Festival di Venezia come nella campagna egiziana. Spero di averne ereditato anche la dirittura morale, la gentilezza, il non voler fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te.
Che cosa l’ha spinta fin da giovanissima verso la moda e i set fotografici internazionali? E’ stata subito consapevole di doversi affermare solo attraverso il lavoro, la tenacia, l’etica dell’impegno?
Avevo 14 anni quando mi è stato chiesto se volevo fare la modella. Una ragazza di quella età molto probabilmente dirà di sì… Perchè spesso sente di aver molto da provare agli altri e a se stessa. “Posso farlo anch’io”, “posso essere attraente,…” Io avevo bisogno di essere economicamente indipendente. In certi momenti mi dico che se potessi tornare indietro avrei frequentato l’Università come sognavo ma in realtà so che la vita mi ha portato dove volevo essere attraverso percorsi diversi. Non è stato tutto facile, ho avuto la fortuna di conoscere chi mi ha aiutato e indirizzato e ho tenuto duro nei momenti di difficoltà. Sono sempre stata serissima, fa parte del mio Dna, nessuno mi ha mai detto di fare i compiti, mi svegliavo alle 6 per ripassare quello che avevo già studiato il pomeriggio prima obbligando mia madre ad interrogarmi, da piccola andavo a letto presto apposta perche volevo dormire le mie 10-12 ore e mi alzavo per protestare se la musica o la TV avevano un volume troppo alto … diciamolo, ero un po’ una rompiscatole.
Può raccontare come si è sviluppata la sua carriera internazionale e come è avvenuto il suo passaggio al cinema?
Non saprei… Ho lavorato. Ho tenuto duro in momenti di solitudine o di dubbio. E questo sicuramente grazie all’appoggio di coloro che mi sono vicina da sempre. Ho cercato di comportarmi sempre con rispetto e onestà e gentilezza. Sapevo che la moda per me non era un fine, uno scopo in sè. Per cui, quando ho iniziato dopo la maturità a lavorare con modella a tempo pieno, avevo curiosità per altro e non sapevo ancora esattamente a cosa avrei dedicato il mio tempo. Data una certa mia espressività naturale (ma pare che invece in altri momenti, se sono arrabbiata, io sia capace di totale inespressività…) intorno a me diverse persone iniziavano a dire che avrei dovuto provare a recitare. Ho incontrato così un’agente a Parigi e qualche mese dopo volavo verso una delle esperienze più intense mai affrontate, la parte di una donna cleptomane persa in Lituania, diretta da Sharunas Bartas in “Indigène d’Eurasie”. Poi sono arrivati il ruolo femminile principale in “Bus Palladium” di Christopher Thompson, “L’amour dure trois ans” di Frédéric Beigbeder e, in Italia, “La leggenda di Kaspar Hauser” di Davide Manuli e la commedia “Soap opera”. Nel 2013 ho quindi partecipato a “Les Gamins” di Anthony Marciano, nonché a “Libertador” di Alberto Arvelo. Recitare per me è sempre stata un’esperienza di esplorazione e di crescita personale.
Quanto conta il cinema, in particolare quello italiano, nella sua vita?
Beh, ogni film, ogni serie tv, ogni scena è spunto di ispirazione. Se non altro per sapere che cosa non fare. Il cinema ha il potere incredibile di farci ritrovare l’umanità dietro anche a gesti ingiustificabili. Di farci riflettere sulle nostre contraddizioni. Michelangelo Antonioni e il suo lavoro con Monica Vitti sono stati molto importanti nel mio percorso “educativo”. Francamente, Monica Vitti in sè con la sua eleganza, quell’italianità sofisticata ma semplice, e il suo umorismo sono stati per me fondamentali. Ma anche la “gagliardaggine”, la grandiosità del lavoro di Fellini, o istanti come quelli di “Teorema” di Pasolini, sono indimenticabili.
Con chi le piacerebbe lavorare in Italia e quali personaggi vorrebbe affrontare?
Con Marco Bellocchio, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone e Francesco Patierno. Ultimamente mi ha fatto piacere girare per la prima volta per la tv come protagonista di un episodio di “Non uccidere”, una serie di Giuseppe Gagliardi in onda dal’11 settembre su Raitre. Mi piacerebbe interpretare un giorno una rivoluzionaria della Primavera araba, una persona impegnata in lavori umanitari, o altri ruoli comici ma al momento rifletto di più su quali sarebbero le storie che mi piacerebbe raccontare. E così mi sto dirigendo verso il lavoro di produttrice e regista.
Che cosa può anticipare del suo recente debutto nella regia col documentario “Image of a Woman” diretto con Martina Gili e sceneggiato con Nicholas Klein?
Finchè questo film non sarà finito non voglio dirne una parola! Quello che posso dire però è che dopo aver finito di scrivere stiamo attualmente costruendo la nostra struttura produttiva. Stiamo cercando partners…
Pur avendo avuto una formazione cosmopolita si sente italiana per gusti, scelte, orientamenti, atteggiamenti o filosofia di vita?
Ho studiato in Italia, mi sento sempre di più un’italiana vera nel sangue, ci sono momenti in cui sono fiera di esserlo. Il fatto che abbia frequentato le scuole elementari, le medie ed il liceo in Italia fa si che la mia cultura sia italiana più che di qualsiasi altro Paese. Amo il modo in cui ridiamo e comunichiamo, la nostra ironia, la nostra gioia di vita. La passionalità. Amo lavorare in Italia e amo tornarci in vacanza, che sia nella mia regione con le mie meravigliose colline della Langhe, oppure in Puglia della quale con mio marito ci siamo ultimaente innamorati. Pur vivendo all’estero mi interesso alla vita sociale italiana, mi interessa quello che sta succedendo, soprattutto i movimenti giovanili, fra i teatri e palazzi occupati, la voce di sconforto che emerge sempre piu forte. Quello che però mi dispiace è la tendenza al pregiudizio pesante, soprattutto sulla donna. E poi anche una sorta di vittimismo su cui ci si sta adagiando: spesso si dice “in questo Paese non funziona niente” ma quanto stiamo facendo per cambiare giorno dopo giorno? Trovo disarmante la superficialità, il bombardamento di messaggi di intolleranza e di violenza, l’assenza di speranza dovuta alla crisi economica, il fatalismo dei giovani. Mi lascia perplessa che nel 2015 non in tutti i grandi ospedali pubblici sia disponibile l’epidurale (e lo dice una persona che ha partorito senza, però avevo la scelta!!), e che con tutte le lamentele dei giovani usciti dalle Università che sono senza un impiego non ci sia nessuno disponibile a lavorare in agosto. Dalla politica però mi tengo lontana. Vorrei conservare qualche neurone. Solo una cosa voglio dire… ti amo, Emma Bonino! E non solo perche sei di Bra come me.
Che importanza hanno oggi nelle sue scelte di ogni giorno suo marito e suo figlio?
Beh… tutto ruota intorno alla famiglia. Mio figlio mi da cosi tanto. Avere già l’opportunita a 27 anni di riscoprire il mondo attraverso i suoi occhi, per quanto certo abbia reso la vita logistica in certi momenti più complicata e sicuramente ridotto le ore di sonno, mi sta rendendo meno intransigente e fondamentalmente più buona con me stessa. Essere moglie mi insegna la comunicazione. Per quanto riguarda il punto di vista professionale, è sicuramente piu difficile riuscire a concentrarsi, per cui bisogna organizzarsi. Non si può fare tutto, ormai posso prendere l’aereo senza mio marito e mio figlio solo se so che è per una ragione che davvero ha senso nell’ordine generale, che sia il mio personale o quello della famiglia…
Ultimamente ha creato la Elisa Sednaoui Foundation per promuovere lo sviluppo personale ed educativo dei giovani nelle aree rurali egiziane: può descrivere questo progetto con maggiori dettagli?
L’idea è quella di creare un modello di centro culturale che offra corsi doposcuola per bambini dai 6 ai 16 anni, corsi che si concentrano sull’arte di senso largo, cioè dalla recitazione alla pittura, alla fotografia, alla musica, alla cucina, al riciclaggio, passando anche da due aspetti più tradizionali dell’educazione: le lingue straniere e l’alfabetizzazione. Vogliamo offrire ai bambini l’opportunità di essere ispirati, di imparare divertendosi, di riappropriarsi del potere di scelta, che è intrinsicamente legato all’essere aiutati a valutare le opzioni veramente a disposizione. Attualmente stiamo formando a Luxor, in Egitto, 12 adulti che saranno coloro che gestiranno il centro culturale. E’ un’emozione incredibile vedere l’impatto che ha il lavoro anche solo di qualche mese. Vedere giovani donne motivate, con voglia di diventare membri veramente attivi della loro comunità, che prendono il coraggio di dire quello che pensano sinceramente! Sto attualmente iniziando il processo per portare avanti questo tipo di lavoro anche in Italia. Questo centro non sarebbe destinato, come la gente ha tendenza a pensare inizialmente, solo a bambini cosiddetti “svantaggiati”, ma vorrebbe instaurarsi come una vera alternativa, un’opzione, un luogo dove andare, per divertirsi, per essere bambini… di qualsiasi ceto sociale.
Che cosa avrebbe voluto fare ed essere se fossi rimasta lontana da set e passerelle, in Italia o altrove?
La verità ? Quello che faccio adesso. Avrei voluto fare la diplomatica, lavorare sugli scambi culturali. Per cui come dicono i miei amici piu cari, in un modo o nell’altro, ci sono.