Con Tutto potrebbe andare molto peggio (traduzione di Vincenzo Mantovani, Feltrinelli), il quarto romanzo della serie, siamo nel New Jersey, nel 2012, poco dopo il devastante passaggio dell’uragano Sandy. “È l’atmosfera di un disastro senza limiti. Al mio naso – che un tempo s’intendeva di queste cose – niente sa di rovina più delle iniziali operazioni di soccorso”. Basta leggere questo inizio per cogliere tutta la grandezza della voce di Ford, che sceglie il tono disincantato del vecchio Frank per raccontare un’America molto più fragile di quel che vuole apparire. Un tono di un’acutezza tagliente che non cade mai nel cinismo, perché dietro c’è sempre uno sguardo più delicato del previsto.
Ha ragione Jhon Banville quando scrive sul Guardian che lo stile di Ford è “agile e sciolto, sempre allusivo, dolorosamente scherzoso e sommessamente elegiaco”. Sono due autori molto affini, Banville e Ford. Stessa incredibile capacità di descrivere i gesti. Oppure la luce e l’aria. Entrambi, precisi e ostinati, si battono fino all’ultimo aggettivo per restituire l’imprendibile: un piccolo movimento che sfugge, un colore passeggero del cielo. Come se la transitorietà – il vero tema della loro letteratura – abitasse lì, in quei particolari destinati a passarci davanti agli occhi per un attimo soltanto.
Forse la storia della costa devastata del New Jersey si potrebbe leggere insieme a quella della costa irlandese raccontata da Banville nel suo capolavoro, Il mare (Guanda, Booker Prize del 2005). Letture che si illuminano a vicenda. In tutti e due ci sono indimenticabili pagine sulla malattia, sul tempo e la memoria, e sull’acqua.
Le storie dentro al romanzo di Ford sono quattro, quattro corollari dell’uragano. Il panorama è angosciante, tutto è coperto dalla sabbia “come se in una sola notte la Shore fosse diventata Riad”, “come se un gigante fosse uscito dal mare grigio e avesse preso a calci frenetici ogni cosa”, la vita della gente è stata fatta a pezzi e sparsa tutt’intorno. Frank è fortunato, la casa che ora giace su un lato proprio da poco non è più sua, l’ha venduta appena in tempo. Ma questo non lo solleva dalla malinconia e dai bilanci a cui costringe l’uragano.
Il vento lo ha riportato nel paese in cui è cresciuto, in una casa dove un pomeriggio si presenta una donna nera, una vittima dell’uragano. Vuole solo vedere quelle stanze adesso, era la casa della sua infanzia. Frank acconsente, visitare i posti dove si è vissuto aiuta a mettere le cose in prospettiva, a vedere tutto più piccolo. Ma la storia di quella persona non è ridimensionabile: lì suo padre ha ucciso la madre e il fratello.
Altrettanto cruda è la ricomparsa della moglie, malata di Parkinson, o di un amico agonizzante che vuole confidargli un segreto. L’importante è sapersi congedare con grazia – anche da alcune parole inquinate, che Frank vuole togliere dal suo vocabolario – e “il giorno che abbiamo brevemente condiviso è salvo”.
Richard Ford, Tutto potrebbe andare molto peggio, Feltrinelli pp. 215, euro 17