L'indice basato sulle aspettative dei manager responsabili degli acquisti è sceso sotto i 50, che è il discrimine tra espansione e contrazione. E gli osservatori ritengono insufficienti le misure messe in campo dal governo per contrastare il rallentamento. Di nuovo pesanti i listini asiatici. Piazza Affari ha chiuso la seduta a -2,24%
Il rallentamento della Cina torna ad affossare le borse europee. Martedì è stato diffuso un dato deludente sull’attività manifatturiera nella Repubblica popolare: l’indice Purchasing manager, basato sulle aspettative dei manager responsabili degli acquisti, ha segnato in agosto un calo di 0,3 punti scendendo a 49,7. Si tratta del livello più basso dall’agosto del 2012 e il fatto che sia sotto quota 50, considerata il discrimine tra miglioramento e peggioramento, segnala che lo stato di salute dell’economia non è buono. Lunedì, poi, si era saputo che nel primo semestre la crescita dei profitti delle società quotate in Cina è stata solo dell’8,7 per cento, contro il 10 per cento dello stesso periodo dell’anno precedente. Tanto è bastato per trascinare ancora una volta in rosso, dopo il crollo di lunedì scorso, i mercati asiatici, con il listino cinese di Shenzhen che ha chiuso a -4,3%. Quelli del Vecchio continente hanno seguito a ruota: dopo aver aperto tutti in negativo hanno aggravato le perdite nel corso della seduta. Milano ha lasciato sul terreno il 2,24%. Hanno sofferto i titoli del lusso, che rischiano di risentire dell’eventuale calo del potere di acquisto dei nuovi ricchi cinesi. Male però anche le banche, con il Monte dei Paschi di Siena che ha ceduto il 4,27%.
I dati cinesi spaventano anche perché gli osservatori ritengono insufficienti le contromisure messe in campo dalle autorità di Pechino: la mobilitazione di banche e gruppi finanziari pubblici per sostenere i listini comprando azioni, la repressione di presunte manipolazioni dei mercati con arresti a tappeto (compreso quello di un giornalista che ha “confessato” di essere il colpevole del panico) e la fissazione di un tetto all’indebitamento degli enti locali, individuati come unici responsabili del boom del debito pubblico dell’ex Regno di mezzo.
Appesantiti fin dall’avvio anche i listini statunitensi, che risentono anche delle anticipazioni sul possibile rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal reserve già a metà settembre e della performance negativa registrata dall’industria statunitense ad agosto.