La confusione generata dal ministero del Lavoro induceva al pessimismo, invece i dati pubblicati dall’Istat mostrano un calo della disoccupazione e un aumento dell’occupazione. Sarebbe bene ora che le varie istituzioni cominciassero a scambiarsi le informazioni statistiche.

di Pietro Garibaldi (lavoce.info)

Con il finire dell’estate, l’Istat ha pubblicato i dati sul lavoro. Le aspettative suggerivano un andamento dell’occupazione deludente dopo la bassa crescita del Pil nel secondo trimestre e la confusione generata dai pasticci statistici del ministero del Lavoro. Ad agosto il ministero ha prima annunciato 600mila nuove assunzioni a tempo indeterminato, poi dimezzate per un errore statistico. Con grande imbarazzo per il ministro Poletti e il governo.
Partiamo dagli ultimi dati Istat. Nonostante le basse aspettative, la rilevazione mensile Istat suggerisce un mercato del lavoro in espansione. A luglio 2015, rispetto a luglio 2014 sono stati creati 168mila posti di lavoro con un tasso di crescita dell’1,3 per cento su base annua. Nello stesso periodo (luglio 2015 su luglio 2014) il tasso di disoccupazione è sceso dal 12,9 al 12 per cento, mentre il tasso di disoccupazione giovanile e sceso al 40,5 per cento dal 43 di dodici mesi prima.
Oltre all’indagine mensile, l’Istat ha pubblicato l’indagine trimestrale riferita al secondo semestre del 2015, e relativa al periodo marzo giugno 2015. Mentre i dati mensili sono destagionalizzati, quelli trimestrali non lo sono. All’interno dello stesso comunicato, i due dati non sono quindi paragonabili e occorre cautela nella lettura.

L’effetto del Jobs Act

Il secondo trimestre del 2015 segnala comunque un incremento di 180mila unità rispetto al primo trimestre del 2014. L’indagine trimestrale – più capillare di quella mensile- ci fornisce anche informazioni sul lavoro a tempo determinato, sui lavoratori autonomi e sui parasubordinati. A crescere sembrano essere più che altro i lavoratori dipendenti e soprattutto i lavoratori a tempo indeterminato, cresciuti di 106mila unità rispetto al primo trimestre del 2014. Nel primo trimestre del jobs act è evidente che l’occupazione dipendente è cresciuta, anche grazie al forte contributo fiscale. Future ricerche econometriche stabiliranno i meriti relativi del jobs act e del contributo fiscale. Da segnalare però che aumenta anche l’occupazione a termine, che raggiunge il 10,7 per cento dei dipendenti. L’occupazione autonoma è al palo.
Come ci si può orientare, con i continui comunicati sul mercato del lavoro? Al di là dell’errore grossolano commesso dal ministero del Lavoro, è evidente che negli ultimi mesi le statistiche hanno creato un po’ di disorientamento a causa della proliferazione di nuove statistiche dai tre soggetti istituzionali predisposti: l’Istat, il ministero del Lavoro e l’Inps. Sia ben chiaro, la proliferazione- di per sé non è dannosa. Occorre però saper leggere i dati. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.

Come leggere i dati

L’Istat – attraverso l’inchiesta delle forza lavoro – pubblica ogni trimestre un’indagine campionaria che fotografa tutto il lavoro. Da circa due anni, oltre alla rilevazione trimestrale si è affiancata la rilevazione mensile. Il campione mensile è ridotto e le sue informazioni sono meno attendibili di quella trimestrale. Nelle inchieste dell’Istat vengono rilevati e stimati gli stock nel mercato del lavoro, indipendentemente dal tipo di contratto e- potenzialmente- indipendentemente dalla regolarità fiscale della posizione. In teoria, l’inchiesta delle forze lavoro cattura parte del lavoro sommerso. Viene pubblicata alla fine di ogni mese ed è riferita al mese precedente.
Il ministero del lavoro pubblica invece mensilmente i dati di flusso sulle cosiddette comunicazioni obbligatorie. Ogni qualvolta un’impresa opera un’assunzione, è obbligata a comunicare il contratto di lavoro subordinato per via telematica al ministero del lavoro. L’aggregazione di questi dati ha generato il dato “errato” diffuso ad agosto dal ministero.  Plausibile quindi che nelle comunicazioni obbligatorie alcune assunzioni non vengano comunicate, mentre è meno plausibile che vi sia una comunicazione “inventata”. Si tratta probabilmente di una sottostima del vero dato. Il dato è anch’esso mensile.
L’Inps dal maggio scorso ha invece istituito l’osservatorio sulla precarietà. Le fonti sono i versamenti contributivi effettuati dalle imprese. Dietro il dato pubblicato vi è un vero e proprio versamento di denaro, ed è quindi una fonte decisamente attendibile. Riguarda l’universo delle prestazioni di lavoro. Oltre all’osservatorio sulla precarietà, l’Inps pubblica mensilmente il dato sull’utilizzo della cassa integrazione.

L’importanza di condividere i dati

Come orientarsi in questa selva di dati? Certamente è difficile perché spesso sono in parte contrastanti. Le tendenze di fondo però si vedono. Possiamo oggi essere molto più certi che l’occupazione stia tendenzialmente aumentando poco mentre la quota di assunzioni a tempo indeterminato cresce.
Alcuni osservatori sostengono che le diverse istituzioni dovrebbero coordinarsi per pubblicare il dato in un solo giorno del mese. Non sono particolarmente d’accordo. Anche negli Stati Uniti vi sono diversi fonti del lavoro, campionarie e/o amministrative, che escono a date diverse nel mese. Ciò non genera panico o confusione. Più che coordinarsi sull’uscita dei dati, sarebbe importante che le diverse istituzioni scambiassero i dati alla base delle proprie rilevazioni, in modo da assicurare almeno un controllo incrociato ai loro numeri. Pare che questo scambio e controllo incrociato non avvenga al momento tra Istat, Inps e ministero del Lavoro. Serve anche questo perché l’Italia diventi un “paese normale”, come un leader del centro sinistra amava ricordare negli anni novanta. Ma un paese “normale” non può avere una disoccupazione giovanile al 40 per cento, indipendentemente dalla fonte statistica. Insomma, la strada è ancora lunga.

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