Se c’è un direttore di festival cinematografico “twittatore” quello è Alberto Barbera. Negli ultimi cinque giorni, diciamo a circa una settimana dall’inizio della 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia da lui diretta, il ritmo è stato quello da centralino telefonico. Domanda da 140 caratteri: Mi dicono che viene Di Caprio? Risposta Barbera: No, mi spiace. Domanda: Se sono minorenne posso entrare in sala accompagnata da un genitore per vedere Johnny Depp? Risposta: Purtroppo no. Poi ancora tweet di conferma: Jake Gyllenhaal viene ma soprattutto dice “Niente di meglio di un film sulla più grande vetta del mondo per aprire il più grande festival del mondo” Grazie Jake!. E ancora, visto che arrivano Robert Pattinson (The Child of a leader) e Kristen Stewart (Equals) lo stesso giorno ma per due film diversi ecco il solerte direttore segnalare che i due red carpet sono uno alle 14 e l’altro alle 21.
Chiaro, questa è la prima vera edizione di Festival “social” che si ricordi. E’ il restyling iperconnesso che mostra la manina da cyborg del direttore e declama la messe di film con le star da red carpet del circo delle produzioni hollywoodiane. Anche se queste oramai hanno ridotto al minimo l’interesse per i tempi dei festival europei e corrono sui binari dell’esposizione e vendita in patria tra Toronto e Telluride che, guarda caso, capitano il primo dal 10 al 25 settembre e il secondo dal 4 al 7. In mezzo al fuggi fuggi della prima mondiale al Lido si salvano i titoloni Everest e Black Mass, entrambi Fuori Concorso: il primo diretto da Baltasar Kormakur, con Depp (che viene), Benedict Cumberbatch (non viene) e Dakota Johnson (viene); e il secondo da Scott Cooper (suoi gli ottimi Crazy Heart e Il Fuoco della vendetta) con Gyllenhaal (viene), Keira Knightley (viene) e Josh Brolin (sembra non venga).
Sempre dalle parti del Fuori Concorso – Venezia ha sempre un programma entro il quale convivono diverse sezioni come Concorso, Orizzonti e Fuori Concorso – c’è Gone with me di Daniel Alfredson, sorta di western contemporaneo girato nella Columbia britannica con un cast notevole tra cui Anthony Hopkins (sembra venga); e Spotlight di Thomas McCarthy, dove si parla del pool di giornalisti del Boston Globe che scoperchiò lo scandalo pedofilia nella chiesa cattolica statunitense, con Michael Keaton, Mark Ruffalo e Rachel McAdams (basta che ne venga uno e fanno giornata). Insomma il tonfo degli ultimi giorni con il corto di Martin Scorsese interpretato da De Niro, Di Caprio e Brad Pitt che non è pronto e viene cancellato dal programma ufficiale (tanto non veniva nessuno dei quattro), pare non essersi nemmeno sentito.
Tale e tanta la concentrazione per un Concorso che dovrà per forza vedere un italiano in uno dei due gradini più alti del podio – la rivelazione Messina, il maestro Bellocchio, il cool Guadagnino, lo schivo Gaudino? – e qualche grosso alloro per un americano, altrimenti anche quest’anno ritornerà la solfa della Mostra che non premia film e star di quel cinema che incassa al botteghino. Compito arduo per la giuria presieduta da Alfonso Cuaron e composta da Elizabeth Banks, Emmanuel Carrère, Nuri Bilge Ceylan, Hou Hsiao-hsien, Diane Kruger, Francesco Munzi, Pawel Pawlikowski, Lynne Ramsay, quello di dimostrare equilibrio perché poi capita che in dieci giorni di apnea della visione ci si innamori di un titolo e tutti gli schemini più provinciali finiscano per saltare in aria.
Allora, sarà un Leone, il numero 72, più tradizionale legato ai grandi maestri da festival in gara – Gitai, Sokurov, Skolimowski, Egoyan -; o sarà il coraggio delle tematiche forti e impegnate – Beasts of a nation su un soldato bambino in Africa con Idris Elba e alla regia il produttore e regista di True Detective, Cary Fukunaga – a spuntarla? Sarà The Danish Girl, il film su una delle prime artiste transgender Lili Elbe, con il premio Oscar Eddye Redmayne (a proposito, viene) e il regista premio Oscar Tom Hooper; o le scommesse sperimentali di Heart of a dog di Laurie Anderson e l’animazione di Charlie Kaufman, Anomalisa?
Toccherà ad una sorpresa proveniente dal Sud America per fare uno sgarbo alla Berlinale come Da lontano di Lorenzo Vigas o El Clan di Pablo Trapero; o vincerà il turco Emin Alper con Abluka in cui è ritratta una Istanbul in preda alla violenza politica? In attesa del verdetto scorreranno le immagini di altre decine di film tra il Programma ufficiale e le sezioni collaterali di SIC e Giornate degli Autori, di cui racconteremo giorno per giorno da Venezia. Solo per ricordare a chi fosse al Lido senza ancora orari e titoli sott’occhio che nel Fuori Concorso ci sono il documentario di Noah Baumbach su Brian De Palma (vengono tutti e due); il documentario su Janis Joplin, Janis di Amy Berg, il film postumo di Claudio Caligari, Non essere cattivo; il documentario sul dramma della rivoluzione ucraina Winter on fire di Evgeny Afineevsky. Mentre in Orizzonti c’è il più bistrattato e libertario regista italiano, Renato De Maria con Italian Gangsters e il Taj Mahal di Nicholas Saada con una Stacy Martin vittima solitaria del terrorismo islamico a Mumbai. Insomma una scorpacciata di cinema per parecchi palati che dovrà dotarsi di ombrello, visto che quest’anno di pioggia secondo il meteo ne dovrà scendere più del solito.