Nessun secondo matrimonio, le parole del presidente Osamo Suzuki sono state chiare. La Casa giapponese tiene molto alla sua indipendenza: in futuro saranno possibili solo accordi tecnici o produttivi
“Gli ultimi sei anni sono stati un’esperienza davvero preziosa, da cui ho capito che ci sono aziende molto diverse dalla nostra” così parla Osamu Suzuki, di anni 85 e di professione “capo supremo” dell’omonima casa automobilistica. Tradotto in parole povere suona come un promemoria, tanto per gli altri costruttori quanto per se stesso, sulla volontà di evitare nuove unioni con partner di settore. Questa frase, infatti, è stata pronunciata come commento alla risoluzione della controversia che ha visto impegnate Suzuki e il gruppo Volkswagen sin dal novembre 2011. Il “matrimonio” tra le due Case si era consumato solo due anni prima (nella foto, Osamu Suzuki e Martin Winterkorn ai tempi dell’accordo), con uno scambio azionario che aveva visto i tedeschi diventare proprietari del 19,9% dei giapponesi, mentre questi avevano avuto in cambio l’1,5% del gruppo di Wolfsburg. L’idea era quella di progettare insieme piccole auto a bassi consumi e di sfruttare le rispettive posizioni di vantaggio, tanto nel mercato indiano (Suzuki) quanto nelle possibilità di ricerca e sviluppo (Volkswagen).
Purtroppo, però, niente di tutto questo ha mai funzionato. Troppo grandi le differenze di vedute, sia culturali che tecniche e troppo ampia anche la distanza tra un Gruppo abituato a comprare marchi e a inglobarli e una Casa fiera della sua indipendenza e guidata da 30 anni da un uomo solo. Così, già a fine 2010, Suzuki ha interrotto unilateralmente il progetto iniziato insieme a Volkswagen e, non contenta, ha confermato la fornitura del motore diesel Fiat 1.6 Multijet per i suoi Suv, snobbando clamorosamente la tecnologia tedesca. Uno sgarbo inaccettabile, ma anche una chiara dichiarazione di intenti, cioè la volontà di porre fine quanto prima a quell’unione sbagliata sin dall’inizio.
Peccato, però che ci siano voluti quattro lunghi anni, cioè tutto il tempo che il tribunale arbitrale di Londra si è preso per decidere sulla questione.
Quattro anni di attesa e due persi fa sei, proprio quelli a cui si riferisce Osamo Suzuki che, alla vigilia della fine del suo regno (il figlio maggiore Toshihiro è già Chief Operating Officer) ha voluto mandare un segnale forte a quelli che sperano in accordi con la Casa giapponese, primo fra tutti Sergio Marchionne che è alla disperata ricerca di un partner per FCA. La sensazione è che se qualcosa potrà nascere, avrà la forma di una collaborazione tecnica e produttiva, lasciando fuori gli scambi azionari. Anche se, a ben guardare, il “divorzio” nippo-tedesco non impoverirà nessuno dei due ex-partner. Infatti, Volkswagen porterà a casa una bella plusvalenza dalla cessione delle quote Suzuki, che venerdì scorso valevano 3,8 miliardi di euro ed erano state acquistate a 1,7 miliardi nel 2009. I giapponesi, dal canto loro, non potranno certo lamentarsi degli 820 milioni di euro che incasseranno dalla vendita delle azioni di Wolfsburg.