“Esaminando con attenzione il contenuto delle affermazioni attribuite a lei, quest’ufficio ritiene che una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisca un sollecito ed adeguato processo di integrazione e coesione sociale”. E’ un passaggio della lettera con cui l’Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale di Palazzo Chigi ha “ammonito” la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni per un’intervista pubblicata sul giornale online stranieriinitalia.it. In quel pezzo la Meloni sosteneva che si doveva evitare “di importare in Italia un problema che oggi non abbiamo: basta immigrazione e soprattutto basta immigrazione da paesi musulmani. La (piccola) quota di immigrati che reputiamo necessaria prendiamola da quei popoli che hanno dimostrato di non essere violenti”. In più aggiungeva: “Premiamo allora chi ha dimostrato di integrarsi con maggiore facilità. Per gli altri, porte chiuse finché non avranno risolto i problemi di integralismo e violenza interni alla loro cultura”.
Una generalizzazione che non è piaciuta all’Unar, organismo della presidenza del Consiglio, che ha spedito una nota all’ex ministro firmata da Marco De Giorgi (dirigente del dipartimento Pari opportunità) invitandola a “voler considerare, per il futuro, l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore” rispetto al tema dell’immigrazione, in particolar modo dai Paesi musulmani. Da qui la protesta della Meloni che oggi ha avuto ampio spazio nell’apertura de Il Giornale che ha parlato di “bavaglio di Stato” e di “censura di Stato“. Così la Meloni ha scritto al presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Se una nota del genere fosse stata emessa da un governo di centrodestra nei confronti di un deputato dell’opposizione – dichiara la Meloni – sarebbe venuto giù il mondo. Non pretendo che tutti siano d’accordo con il mio pensiero, ma rivendico il diritto di esprimere le mie opinioni in libertà e coscienza. Ciò deve valere per qualunque italiano o italiana”. Inoltre “apprendo solo ora che l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – regolarmente finanziato dallo Stato con le tasse degli italiani – ha il ruolo di censurare le dichiarazioni rese dalle persone e dai membri del Parlamento italiano. Ne sono sconvolta”.
La Meloni rivendica di poter esprimere la propria opinione non solo come parlamentare, ma anche come cittadina italiana: “Desidero affermare il mio punto di vista senza incorrere in censure governative”. Meloni continua: “Esiste” dunque “nella nostra Repubblica un ufficio ‘valutazione e censura’ delle opinioni. Esiste un sig. De Giorgi, burocrate pubblico, al quale è stato dato il potere (e il compito) di decidere cosa si possa e non si possa dire. E la cosa divertente è che lo stesso ‘ente’ che si permette di sindacare le mie opinioni è stato recentemente oggetto di polemica per aver promosso la distribuzione nelle scuole di opuscoli sulla teoria gender. Quindi a spiegarmi cosa potrei dire sono quelli che vorrebbero insegnare ai bambini delle elementari che maschi e femmine non esistono, perché il sesso biologico è solo un’invenzione dei benpensanti”.
Rivolgendosi a Renzi, la leader FdI ironizza: “Non voglio neanche sapere, presidente, quanto guadagnano questi illuminati servitori dello Stato, perché gli italiani hanno già molte ragioni per essere arrabbiati con la politica e i suoi carrozzoni. Mi limito a far notare che potrebbero essere utilizzati per fare qualcosa di più utile, come ad esempio accertarsi che gli italiani non siano discriminati a casa loro nell’accesso ai servizi pubblici, agli alloggi popolari, agli asili nido”. Dunque, conclude Meloni, “confermo e ribadisco ogni singola parola espressa. E rimango in attesa, curiosa di sapere cosa ci sia dopo il cartellino giallo mostratomi dal Governo. C’è il rosso diretto o c’è prima un ‘cazziatone’ della Boldrini in pubblica piazza, magari davanti a tutti i parlamentari, appositamente riuniti in seduta congiunta? Che succederà poi, mi espelleranno dal Parlamento, dall’Italia, dalle feste dell’Unità?”.
La Meloni chiede a Renzi di dire una parola in merito mentre riceve la solidarietà di diversi esponenti del centrodestra. “Il premier Renzi – scrive per esempio Ignazio La Russa – dica chiaramente cosa pensa di questa lettera spedita da un ufficio della Presidenza del Consiglio che altro non è che un vero e proprio ‘bavaglio di Statò che punta a silenziare chi la pensa diversamente”. Il collega di partito Federico Mollicone, per esempio, invita “il direttore De Giorgi” a pubblicare “il proprio compenso annuale per far sapere agli italiani quanto ci costa il suo (in)utile lavoro. Questo prevede, del resto, la legge italiana per i dirigenti apicali pubblici come lui”. Il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, per esempio, promette che “chiederemo conto dell’attività dell’Unar, una struttura che danneggia l’Italia e che va soppressa senza esitazione. Licenziando su due piedi questa gente che calpesta la verità e la libertà”. Si aggiunge Roberto Formigoni, senatore del Nuovo Centrodestra, che sottolinea che “l’Unar non è nuova a comportamenti che violano lo spirito e la lettera delle Leggi italiane. Sarà utile che chi di dovere intervenga rapidamente”. Tutti si dimenticano, peraltro, che l’ufficio è stato istituito nel 2004 dal governo Berlusconi, per volontà – in particolare – dell’allora ministro per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo.