Un giudice della California ha dato il via libera a un’azione collettiva contro Uber. A muovere la class action una platea potenziale costituita dai 160mila autisti della app per servizi di auto con conducente. L’azione dovrà in particolare dimostrare se i guidatori devono essere trattati come dipendenti e non come contractor, imprenditori che gestiscono un appalto. Se Uber sarà costretta a farsi carico dell’intero costo degli autisti, il modello di business di una delle start up tecnologiche più di valore al mondo potrebbe indebolirsi, creando un precedente per altre aziende che cercano di organizzarsi con lavoratori freelance. Il caso è stato presentato da quattro autisti Uber e ha ottenuto lo stato di class action alla quale possono aderire tutti gli autisti che lavorano per Uber in California dal 2009.
La società si è dichiarata “non sorpresa” dalla decisione del giudice e non esclude la possibilità di presentare appello perché gli “autisti usano Uber sulla base dei loro termini, e non c’è un autista tipo”. Nelle 68 pagine di motivazioni, il giudice dal canto suo afferma di ritenere che “non ha alcuna base” la rivendicazione di Uber sul fatto che “molti dei suoi autisti preferiscono restare contractor indipendenti invece che diventare dipendenti”. Una giuria dovrà ora pronunciarsi sul caso.
Secondo alcune stime, una sconfitta potrebbe far salire i costi del lavoro di Uber del 25-40%. L’intera industria della sharing economy, o economia di condivisione, attende ora la soluzione del caso e teme ripercussioni per tutte le aziende che cercano di organizzarsi con lavoratori autonomi. La class action del resto è solo uno dei problemi legali di Uber sullo stato dei lavoratori. In giugno la commissione del lavoro della California ha determinato che Barbara Ann Berwick, ex autista Uber, doveva essere considerata una dipendente, ordinando alla società di pagarle 4.152,20 dollari in spese per i due mesi che aveva lavorato per Uber nel 2014. L’app è anche alle prese con i problemi legati ai controlli sugli autisti, dopo che i procuratori generali di Los Angeles e San Francisco hanno messo in evidenza che i controlli sulla fedina degli autisti usati da Uber non sono stati sufficienti a verificare i precedenti penali di 25 autisti.