‘Eu voltei a voar outra vez’. Ho di nuovo spiccato il volo… Con queste parole – poetiche e spavalde al tempo stesso – Luiz Inácio da Silva, universalmente noto come ‘o Lula’, ha annunciato sabato scorso al mondo il suo ritorno a tempo pieno alla battaglia politica. E ben pochi dubbi ha lasciato sul reale significato della metafora. ‘Una cosa – ha detto quello che in tempi tutt’altro che lontani fu il più popolare dei presidenti brasiliani – ho imparato nei miei molti anni di vita: è più facile sparare a un uccello se sta fermo su un ramo. E proprio questo, rispettando regole non scritte che impongono discrezione agli ex mandatari, io ho per troppo tempo fatto: sono rimasto immobile tra le frasche, lasciando che, con quotidiana frequenza, le doppiette ‘da dereita’, della destra, impallinassero me e ‘a nossa querida Dilma’, la nostra amata Dilma. Ora basta. Lula riprende a volare e, volando, ricomincia ad importunare i suoi impallinatori e tutti i sepolcri imbiancati che gli stanno dando la caccia. ‘Eu, agora, vou incomodar’, dice: adesso riprendo a darvi fastidio, a parlare, a viaggiare, a dare interviste, a combattere. ‘O Lula’ torna finalmente a dispiegare le sue grandi ali. E continuerà, se necessario, a volare (ovviamente da candidato) fino alle presidenziali del 2018…
Parole forti, quelle di Lula. Parole di sfida pronunciate, tra applausi e standing ovation, in uno scenario che più simbolico non avrebbe potuto essere: una conferenza dedicata alla ‘partecipazione democratica’ – presente anche un altro ‘mitico’ ed applauditissimo ex presidente, l’uruguayano ‘Pepe’ Mujica – tenutasi là dove, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, tutto era a suo modo cominciato. Ovvero: in quel São Bernardo do Campo, nello Stato di São Paulo, cuore industriale del Brasile, dove Lula aveva spiccato il suo primo maestoso volo nei cieli della politica, guidando gli scioperi che – per la prima volta nella forma d’un movimento di massa – avevano scosso alle radici la dittatura militare. E davvero il messaggio non poteva, in quei panorami, essere più chiaro. Io sono tornato, ha fatto sapere Lula. Sono tornato perché sono lo stesso d’allora. E perché oggi è necessario difendere qualcosa che di quell’allora rappresenta il frutto. Vale a dire: le conquiste sociali di questi anni, vero obiettivo della ‘campagna d’odio’ che, con una vendicativa ‘voglia di rivincita’, oggi investe il Partido dos Trabalhadores ed il suo governo…
Questo ha detto Lula sabato scorso. E forse davvero, mentre parlava, s’è per qualche minuto sentito, dentro, lo stesso giovane barbuto che, nell’aprile 1979, parlò senza microfono, facendosi perfettamente capire, agli ottantamila operai riunitisi per reclamare più salario e più libertà nello stadio di Vila Euclides… Pura illusione. Il Brasile nei cui cieli Lula s’appresta ora a ‘voar outra vez’ è diverso, molto diverso, non solo da quello degli anni lontani degli scioperi dei metallurgici, ma anche da quello che prima lui e poi Dilma Rousseff hanno governato per 12 lunghi anni. Ed anzi è già, per molti aspetti, il Brasile del ‘dopo-Lula’, un Paese entrato – ed entrato per uscirne, di nuovo, radicalmente cambiato – nell’occhio di quella che molti analisti definiscono una “tempesta perfetta”. Perfetta perché è qui che s’incontrano e reciprocamente s’alimentano, con conseguenze ancora tutte da verificare, gli effetti d’una crisi economica ciclica e quelli d’una ancor più profonda crisi politica ed etica o, più propriamente, d’una crisi di credibilità.
Questo Brasile è il Brasile che il Lula presidente – un Lula già molto diverso da quello che arringava gli operai di São Bernardo ed anche da quello che per tre volte aveva perduto la corsa alla presidenza – ha cambiato nel corso d’un decennio di indiscutibili successi. Ed è anche, nel contempo, il Brasile che Lula, e Dilma Rousseff dopo di lui, non hanno saputo o potuto cambiare. Un paese corrotto, nel quale sono oggi sotto processo, risucchiati nella spirale d’una colossale storia di tangenti, tutti i partiti (il PT in prima fila), tutte le istituzioni e le due imprese che, a tutti gli effetti, sono i principali centri motori dello sviluppo brasiliano: la statale Petrobras e la privata Oderbrecht.
Le cifre sono, a questo proposito, impietose. E non riguardano soltanto i dati delle inchieste in corso, o i numeri di un’economia entrata in recessione due mesi fa ed in recessione destinata a restare, secondo gli esperti, almeno fino alla fine del 2016. Quella che Lula ha chiamato ‘a nossa querida Dilma’, la nostra amata Dilma, vanta oggi, dicono i sondaggi, livelli di ‘amore’, o più propriamente di popolarità, che a fatica raggiungono l’8 per cento. Un record mondiale probabilmente, oltretutto scandito, non solo dal rossiniano crescendo delle richieste d’impeachment, ma anche dal progressivo sgretolarsi della coalizione politica (l’alleanza con il molto conservatore Pmdb, sostanzialmente) che aveva fino a ieri sorretto, tanto la presidenza di Lula, quanto quella di Dilma. E sabato scorso, proprio nel giorno in cui, a São Bernardo, Lula andava annunciando il suo nuovo decollo, un’altra inchiesta indicava come, dovessero le presidenziali tenersi oggi, l’ex presidente perderebbe (e perderebbe male) contro tutti i suoi possibili (e fino a ieri tutt’altro che irresistibili) avversari (Aécio Neves, José Serra, o Geraldo Alckmin)…
Più che un volo, quello di Lula assomiglia oggi, in effetti, ad una caduta libera. Riuscirà infine ‘o presidente operário’ ad aprire di nuovo le ali nel pieno di questa molto ‘perfetta’ tempesta? Non sono in molti a crederlo…