Ammontano a 83 milioni di euro i mutui garantiti dal Fondo di garanzia per la prima casa tra febbraio e luglio 2015. E altri 88 milioni sono in fase di erogazione. A comunicare i risultati della misura partita lo scorso dicembre per favorire l’accesso al credito a condizioni agevolate per le coppie, i precari e i genitori single di età inferiore ai 35 anni è l’Associazione bancaria italiana (Abi).

Un gruzzolo, quello previsto dal Fondo, che rappresenta un quinto della maxi dotazione da 600 milioni di euro che il governo ha stanziato nell’ultima legge di Stabilità. E che sta facendo ottenere un prestito anche a quanti sono più svantaggiati agli occhi dei sistema bancario perché non hanno le garanzie reddituali e patrimoniali indispensabili per strappare un finanziamento per l’acquisto della casa. Ora possono contare sulla garanzia statale che copre il 50% della quota capitale di un finanziamento fino a 250mila euro.

L’Abi spiega che “il Fondo è stato valorizzato maggiormente dal recente chiarimento della Banca d’Italia” secondo cui la garanzia può essere richiesta per erogare mutui anche fino al 100% del valore dell’immobile”, superando di fatto l’attuale limite dell’80% previsto dalla regolamentazione della Consap, la società del Tesoro che gestisce il fondo. Di qui il decollo del fondo, che è stato istituito nel febbraio 2011 dal governo Berlusconi e poi finanziato da Monti e Letta ma per oltre due anni e mezzo è rimasto quasi inutilizzato.

Ma il vero motivo per cui ora le banche non fanno più orecchie da mercante sponsorizzando solo i proprio prodotti, e agli under 35 che si presentano allo sportello propongono anche il Fondo, è che ora gli istituti non ci rimettono più se erogano il mutuo con la garanzia dello Stato. Perché i prestiti sono concessi al tasso di mercato e non più a un tasso agevolato, come avveniva invece per il fondo per le giovani coppie ora soppresso, che dal 2011 al 2013 ha erogato solo 1 milione sui 50 a disposizione. In quel caso i mutui dovevano essere concessi a un tasso pari all’Eurirs o all’Euribor (rispettivamente gli indici del prestito a tasso fisso e variabile) più uno spread di 120 punti base (se la durata del finanziamento era inferiore ai 20 anni) o 150 punti base (con durata uguale o superiore a 20 anni).

In pratica, se prima era previsto un tetto dell’1,5% al tasso di interesse, ora saranno le banche a deciderlo, esattamente come fanno con tutti gli altri clienti. Con in più la sola garanzia statale nel caso di mancato pagamento delle rate. Una decisione che, se penalizza i mutuatari, ha stimolato le banche, che stanno aderendo in massa all’iniziativa. E i numeri sono eloquenti: a gennaio 2015 l’elenco degli istituti pubblicato sul sito della Consap era composto da sole 7 pagine, mentre quello attuale è arrivato a 27 pagine con 142 banche presenti. Non più, quindi, solo casse rurali e istituti del sistema del credito cooperativo, ma il 60% del mondo bancario.

Che la strada dei mutuatari sia costellata da pericoli e insidie è però certificato dall’ultimo intervento congiunto che arriva da Bankitalia e Ivass (l’istituto per la Vigilanza sulle assicurazioni) che hanno nuovamente messo sotto la lente le polizze offerte in abbinamento al finanziamento per l’acquisto di casa, come la polizza vita, infortuni o perdita del lavoro. Un ricco business soprattutto per i distributori (banche, finanziarie, mediatori creditizi) che possono contare ancora su ricche commissioni, superando il 50% dei premi versati dai clienti. È stato così nuovamente chiesto al mondo bancario di “innalzare il livello di tutela della clientela nella vendita delle polizze Ppi (Payment Protection Insurance)” che, nonostante siano facoltative, nel corso degli anni sono state praticamente imposte ai mutuatari come condizione necessaria per accedere al prestito.

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