Il ministro ha rivendicato che ora hanno diritto agli ammortizzatori "1,4 milioni di persone in più che prima non avevano copertura perché dipendenti di imprese con meno di 15 addetti". Le aziende non avranno bisogno di autorizzazioni per controllare pc e tablet dei lavoratori. Arriva un intervento contro le dimissioni in bianco: "D'ora in poi servirà un modulo scaricato dal sito del ministero, in modo da garantire l'effettiva volontà di chi le firma"
“Sono soddisfatto, abbiamo esaminato gli ultimi quattro decreti del Jobs Act. Possiamo ribadire che abbiamo scelto di rimettere al centro del mercato del lavoro il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La Commissione Hartz ci ha messo tre anni a riformare il lavoro in Germania, noi ci abbiamo messo 12 mesi”. Così il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha annunciato il via libera definitivo del Consiglio dei ministri agli ultimi quattro decreti attuativi della riforma del lavoro, che si aggiungono a quelli sui nuovi contratti senza la garanzia dell’articolo 18, sulle nuove regole per i licenziamenti e sul riordino delle tipologie contrattuali. Tra le norme attuative licenziate venerdì c’è il decreto che ridisegna gli ammortizzatori sociali e quello sulle semplificazioni, che contiene le famigerate novità sui controlli a distanza.
Su questo punto “oggi abbiamo una legge complessiva con norme chiare e definite nel rispetto della privacy“, ha sostenuto Poletti, e “abbiamo colmato il vuoto normativo sugli strumenti in dotazione ai lavoratori”. Ma di fatto, contrariamente a quanto era emerso la settimana scorsa prima che il passaggio dei testi sul tavolo del Cdm slittasse, il governo non ha accolto le richieste di modifica della Commissione Lavoro della Camera. Palazzo Chigi ha insistito per mantenere invariata la nuova formulazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: le imprese sono esonerate dalla necessità di un’autorizzazione o di un accordo sindacale per sottoporre a controllo gli strumenti assegnati ai dipendenti, come computer e telefonino aziendale, e usare i dati così raccolti a fini disciplinari. Per il datore di lavoro sarà sufficiente darne “adeguata informazione” e rispettare le norme sulla privacy. Secondo Poletti le novità sono state introdotte solo per adeguare al progresso tecnologico la vecchia normativa, che si occupava esclusivamente delle telecamere imponendo che per installarle servisse l’accordo con il sindacato o l’autorizzazione dell’ufficio territoriale del ministero del Lavoro. “Ma la decisione se le immagini potessero o meno essere usate come prove era un tema rimesso al magistrato, non c’era una norma che lo stabiliva in assoluto. Noi abbiamo fatto una norma che si estende agli strumenti di lavoro come tablet e telefonini: l’uso delle informazioni così raccolte può essere fatto solo nel rispetto delle normative della privacy”, ha detto il ministro. Il risultato è che il datore di lavoro sarà libero di installare strumenti che servono al dipendente per lavorare e che registrano accessi e presenze, come i badge. Mentre per monitorare i lavoratori con impianti audiovisivi resta l’obbligo di autorizzazione.
Via libera a riordino ammortizzatori. “Estesi a 1,4 milioni di lavoratori che non li avevano” – Il primo decreto approvato in via definitiva riforma gli ammortizzatori sociali e i contratti di solidarietà. “Con il decreto Naspi siamo intervenuti sulla perdita definitiva del lavoro, ora sugli altri ammortizzatori. Abbiamo fatto una sorta di testo unico estendendoli a 1,4 milioni di lavoratori che non avevano copertura perché lavorano in imprese con meno di 15 dipendenti. Con i risparmi abbiamo stabilizzato il finanziamento per la Naspi a 24 mesi per tutto il futuro, quindi nel 2017 la durata non si ridurrà a soli 18 mesi“, ha detto Poletti. “Abbiamo stabilizzato anche gli interventi sulla maternità e i permessi parentali introdotti nel precedente decreto”. Il governo infatti ha fissato un tetto massimo di utilizzo della cassa ordinaria e straordinaria a 24 mesi, escludendo le imprese “decotte”, e previsto un premio di un anno, che porta la durata massima a 36 mesi, nel caso le imprese utilizzino i contratti di solidarietà. Sulle aliquote si applica il meccanismo bonus malus: le aliquote base che tutte le imprese sopra i 50 dipendenti pagano come contributo per la cig si riducono del 10%, ma chi effettivamente usa la cassa pagherà di più e il contributo salirà all’aumentare del tempo di uso dello strumento, “allo scopo di disincentivare l’uso della cassa integrazione se non è reale figlia di necessità”. Per quanto riguarda il regime di transizione Poletti rassicura: “Abbiamo calibrato l’intervento in maniera attenta: chi parte con un nuovo quinquennio mobile ha tutta la dotazione cig tutta a disposizione. Ripartirà cioè da zero anche se ha già utilizzato mesi di cig”.
Al via l’ispettorato nazionale unico del lavoro – Il Cdm ha approvato anche il decreto attuativo sulle attività ispettive, con l’istituzione dell’Ispettorato nazionale del lavoro. L’obiettivo è “di far lavorare insieme gli ispettori del lavoro dell’Inps e dell’Inail, facendoli coordinare con le Asl, con lo spirito di migliorare le performance delle ispezioni. Invece che avere tre soggetti differenti che devono fare il lavoro di istruttoria e di intelligence da ora lo farà solo uno”, ha spiegato Poletti.
Stretta sulle dimissioni in bianco – Il ministro ha poi annunciato un intervento contro il fenomeno delle dimissioni in bianco: “D’ora in poi i fogli bianchi non sono più utilizzabili, sarà necessario un modulo scaricato dal sito del ministero del Lavoro con data e numero. Un documento che garantisce la volontà del lavoratore: in questo modo siamo certi che le dimissioni avvengono nella data in cui il lavoratore le richiede”. La novità va a colpire “un fenomeno ormai storico, in particolare per le donne”, ha spiegato Poletti. “Se ci dai un foglio di dimissioni solo con la firma del lavoratore, per noi non è accettabile. Se il foglio ha numero e data, allora invece siamo tranquilli. Il lavoratore può uscire dall’azienda se decide di farlo, ma noi chiediamo che ci sia un modulo certo”.
Politiche attive e collocazione dei disabili – Il decreto sulle politiche attive istituisce un’agenzia nazionale ad hoc che dovrebbe facilitare il reinserimento lavorativo di quanti si ritrovano senza un’occupazione. L’Anpal dovrà “fornire indirizzi e fissare le prestazioni” che poi saranno rese operative dalle Regioni tramite convenzioni con i centri per l’impiego. Il lavoratore che riceva sussidi pubblici ha l’obbligo di partecipare ai programmi di riqualificazione pena la perdita del contributo. Rimane poi la chiamata nominativa per le assunzioni obbligatorie di persone disabili. Gli iscritti alle liste che trovano lavoro oggi sono “sotto il 3%”, ha ricordato Poletti. Per questo “abbiamo pensato di cambiare dando più incentivi per alzare il numero di quelli che vengono effettivamente avviati al lavoro”. Anche in questo caso non è stato accolto il parere della commissione Lavoro della Camera che aveva invitato a limitare la chiamata nominativa solo ai datori di lavoro fino a 50 dipendenti, mantenendo sopra quella soglia la quota obbligatoria di assunzioni di disabili a chiamata numerica.
Dopo gli errori sui dati Poletti rivendica gli effetti della riforma. E nega rischi di incostituzionalità – “Oggi molti che avevano un contratto precario hanno un contratto stabile”, ha rivendicato Poletti, tornando sui dati forniti pochi giorni fa dall’Istat dopo il pasticcio sui numeri relativi ai nuovi contratti diffusi dal ministero. “Io contesto che i nuovi contratti a tempo indeterminato siano solo trasformazioni, perché i dati ci dicono che a luglio c’è stato un incremento di oltre 40mila posti e il dato vale 175mila posti nel trimestre mobile e 235mila nell’ultimo anno. Questo ci conforta nel dire che la scelta produce risultati”. Poletti, alla fine della conferenza stampa, ha negato che l’intera riforma sia a rischio di incostituzionalità alla luce di quanto rivelato ieri dal Fatto Quotidiano, cioè che in base alla legge 400 del 1998, a cui fa riferimento la legge delega, i decreti attuativi avrebbero dovuto essere inviati al Quirinale entro 26 agosto. “Questo problema non c’è, i decreti sono pienamente validi”, ha sostenuto il ministro.