Nel 2013, il Comune di Scalea in provincia di Cosenza era stato “chiuso per ‘ndrangheta”. A distanza di poco più di due anni, arriva la sentenza di primo grado del Tribunale di Paola che ha inflitto pene pesantissime agli imputati del processo “Plinius” nato da un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
Sono stati condannati, infatti, a 15 anni di carcere l’ex sindaco di Scalea Pasquale Basile e l’avvocato Mario Nocito. È la stessa pena che i pm avevano chiesto al termine della requisitoria quando hanno ricostruito le indagini condotte dei carabinieri.
Quattordici anni di reclusione, inoltre, per il boss Mario Stummo ritenuto il capo dell’omonima cosca: per lui la richiesta era stata di 21 anni. Sono stati assolti, invece, l’ex vicesindaco Maurizio Ciancio e l’ex assessore al bilancio Giuseppe Forestieri.
Dall’inchiesta è emerso che la ‘ndrangheta era arrivata a toccare i gangli vitali della politica cittadina (sul caso Scalea ilfattoquotidiano.it ha pubblicato il web-documentario “Scalea-Un paese in gabbia”).
Con il processo “Plinius”, la dda di Catanzaro ha svelato il sistema con cui la cosca Valente-Stummo ha imposto la sua supremazia nel territorio di Scalea e nel suo hinterland. Dire che la ‘ndrangheta controllava solo il voto non è sufficiente per comprendere quanto emerso dalle indagini. Per i magistrati, il sindaco Pasquale Basile era un uomo delle cosche. Per festeggiare la vittoria elettorale, aveva sfilato nelle strade della cittadina brindando con con il boss Piero Valente, condannato con il rito abbreviato a 10 anni di carcere nel processo d’appello che si è concluso a Catanzaro nel marzo scorso quando il gup ha giudicato colpevoli anche gli assessori Antonio Stummo (4 anni e 8 mesi di carcere) e Franco Galiano (6 anni e 10 mesi).
Voti in cambio di concessioni e appalti alle imprese “amiche” dei clan. Di questo si discuteva, secondo gli inquirenti, nello studio legale dell’avvocato Mario Nocito dove i carabinieri avevano piazzato le microspie. Dalle intercettazioni ambientali, infatti, si nota “l’assoluta consapevolezza, da parte degli amministratori, di chi ci fosse dietro le istanze di concessione”.
Lo sapeva bene anche il consigliere d’opposizione, Mauro Campilongo, e lo aveva denunciato pubblicamente durante un consiglio comunale e sui giornali locali. Un comportamento che ha dato fastidio tanto alla ‘ndrangheta quanto alla politica.
“Non permetterti più di parlare della mia concessione altrimenti saranno versate lacrime e sangue dalla tua famiglia, perché tu sai che non sono io il beneficiario della concessione”. È il messaggio di morte che un emissario delle cosche aveva consegnato personalmente al consigliere Campilongo. Se la ‘ndrangheta ha fatto la sua parte la politica non è stata da meno nel tentare di sfiancare quel consigliere coraggioso che ha osato sfidare il “sistema Scalea”: il sindaco Basile voleva farlo dimettere minacciando una denuncia per abuso edilizio e disponendo un’ispezione dei vigili urbani a casa di Campilongo il giorno prima del consiglio comunale.
“Il Comune di Scalea – aveva affermato l’ex procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli – era direttamente affidato alla ‘ndrangheta. L’amministrazione era nelle mani di due ‘ndrine. Tutto era gestito dalle cosche”.