INTERVISTA - Il sottosegretario all'Economia difende le ricette del governo: "Dei 50 miliardi di obiettivo di riduzione della spesa complessiva, meno di 5 miliardi (circa il 10%, ndr) riguardano la tassazione sul patrimonio e sono concentrati essenzialmente sulla prima casa. Tutto il resto riguarda Irpef, Ires e Irap"
“Non aumenteremo le imposte sul patrimonio degli italiani”. Il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, risponde così allo studio pubblicato da ilfattoquotidiano.it su tassazione e crescita. “L’idea di Bruxelles di aumentare le imposte sulla ricchezza è anacronistica. Il governo vuole tagliare le imposte dando priorità ai redditi”. Le risorse per la crescita vanno dunque ricercate altrove. Ma dove esattamente? “Innanzitutto nella revisione della spesa pubblica e, in seconda battuta, anche nel deficit” spiega Zanetti precisando che nelle prossime settimane si entrerà nel vivo del dibattito sulle coperture con un focus sul taglio della spesa improduttiva. Nell’intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it, Zanetti apre però all’ipotesi di una “riorganizzazione” del sistema di imposizione sul patrimonio che include le voci più svariate come seconde case, fabbricati di imprese, auto, energia elettrica e persino l’acqua minerale.
Perché pensa che le ultime raccomandazioni di Bruxelles sulla necessità di tassare il patrimonio degli italiani siano anacronistiche?
In Italia le imposte sul patrimonio non sono basse. Potevano forse esserlo nel 2010, ma tra il 2011 e il 2012 i governi Berlusconi e Monti hanno tamponato la voragine che si stava aprendo nei conti pubblici agendo quasi per intero proprio sulle tasse sui patrimonio, oltre che sui consumi. In linea con quanto suggerito da Bruxelles sono stati toccati immobili, ricchezza mobiliare nei conti correnti, superbollo auto e attività all’estero. Intervenire oggi ancora sul patrimonio degli italiani mi sembra una ricetta obsoleta.
In Italia le imposte che colpiscono il patrimonio ammontano al 5% del prodotto interno lordo contro il 25% di quella sui redditi. Inoltre il peso è distribuito su varie voci che non solo incidono sulle grandi ricchezze, ma anche sulla vita quotidiana di tutti i cittadini italiani attraverso un reticolo di microimposte. Non crede che questa struttura vada modificata?
E’ fisiologico che ci sia una differenza fra tassazione sul reddito che produce un imponibile ogni anno e quella sul patrimonio, che, invece, resta uguale anno dopo anno. Non mi sembra ci sia nulla di anomalo. Credo invece sia necessario riorganizzare il sistema di prelievo sul patrimonio: il Paese ha uno spezzatino di imposte che andrebbero razionalizzate ai fini di una tassazione più progressiva e quindi più equa. Ma ribadisco che oggi il punto non è alzare ulteriormente le tasse, ma abbassarle, dando priorità al reddito da lavoro e alla produzione. Il governo sta provando a fare proprio questo: dei 50 miliardi di obiettivo di riduzione della spesa complessiva, meno di 5 miliardi (circa il 10%, ndr) riguardano la tassazione sul patrimonio e sono concentrati essenzialmente sulla prima casa. Tutto il resto riguarda Irpef, Ires e Irap.
Se non ci saranno aumenti delle tasse su patrimonio e lavoro, dove troverà il governo le risorse per la crescita?
Innanzitutto nella revisione della spesa e in seconda battuta anche nel deficit che è un acceleratore di un piano di tagli di imposte basato sulla ristrutturazione della spesa pubblica. Questo deve essere un punto chiaro perché altrimenti si perde di vista un riferimento fondamentale: il governo ha un piano ambizioso che si appoggia anche sul deficit perché il taglio della spesa ha un effetto sull’economia meno immediato rispetto a quello delle imposte. Inoltre non si deve trascurare che la stessa riduzione delle tasse genera a sua volta nuova crescita.
Anche la revisione della spesa ha un costo per la collettività. Basti pensare ad esempio allo sfoltimento delle partecipate pubbliche con la conseguente riduzione di servizi e perdita di posti di lavoro
I temi sulla spesa pubblica sono due: uno è quello del miglioramento di efficienza, l’altro è quello della sua riduzione. Quali saranno i tagli da fare sarà una questione che entrerà a breve nel vivo. Intanto, per quanto mi riguarda, sulla questione dei servizi, credo sia meglio tagliare la spesa improduttiva che, da un lato, inciderà certamente sulla vita di alcuni cittadini e, dall’altro, libererà risorse a favore di chi lavora e produce. Non si può più pensare di tenere in piedi un sistema di società partecipate per creare artificialmente lavoro. Bisogna uscire da questa logica assistenziale ed entrare in una logica di mercato.
Come ritiene reagirà Bruxelles alla decisione italiana di finanziare la crescita con il deficit? Pensa che l’Italia possa trovare degli alleati in Europa che sostengano la sua strategia?
La Francia è già oltre il tetto del 3% e pare stia valutando tagli alle imposte. Se la nostra scelta è stata criticata dall’Unione Europea, figuriamoci cosa accadrà quando Parigi ufficializzerà la sua posizione. Tuttavia mi preme ancora una volta ribadire che se puntiamo tutto sul deficit, non mettiamo a fuoco la reale strategia che passa per i tagli di spesa e la riduzione delle imposte. Non è possibile rilanciare l’economia solo con il deficit.