Ci sono storie di migrazioni interne dimenticate in un Paese come il nostro, alle prese con le nuove migrazioni. Storie di uomini e donne che altrove “hanno trovato una vita e ci si sono arrampicati sopra. Un’altra vita. L’unica possibile”. Da queste storie nasce “Ti ho vista che ridevi“, l’ultimo lavoro polifonico del collettivo calabrese Lou Palanca, edito dalla casa editrice Rubbettino.”Ti ho vista che ridevi” riconsegna alla Storia le storie delle contadine che negli anni Sessanta lasciavano la Calabria per le Langhe piemontesi, grazie a matrimoni combinati da abili bacialé, intermediari tra famiglie, molto famosi nel Piemonte dell’epoca.
Si tratta della seconda fatica editoriale di un collettivo di scrittori a geometria variabile, che ha esordito nel 2012 con “Blocco 52. Una storia scomparsa. Una città perduta“, racconto ispirato alla vicenda mai risolta dell’omicidio del sindacalista Luigi Silipo, freddato a Catanzaro il primo aprile 1965. Grazie ad un lavoro costante contro l’oblio e le reticenze, l’opera di Lou Palanca recupera alla memoria collettiva pezzi di Storia rimossi. Questo certosino lavoro di ricerca caratterizza anche “Ti ho vista che ridevi”, restituendo ai lettori storie lontane, sconosciute ma terribilmente attuali.
“Ti ho vista che ridevi” non ha un solo protagonista, ma diversi, eredità della scrittura a più mani. È possibile però riconoscere il cuore del racconto nel viaggio di Luigi, giornalista calabrese quarantenne, che da Riace si snoda fino alle Langhe piemontesi. Un viaggio iniziato con una lettera, in cui Luigi scopre che la donna che l’ha cresciuto non è sua madre. Un viaggio ai confini della memoria personale e collettiva, ma anche il viaggio interiore di un’esistenza fino ad allora priva di slanci. “Amore mio caro, quando leggi ‘sta lettera io non ci sono più. Ho una sorella che si chiama Dora e che è la vera mamma tua”: da queste righe parte un cammino lungo 200 pagine tra i Sud d’Italia e del mondo, tra migrazioni, donne, caporali, ‘ndrangheta e proteste No Tav. Lou Palanca non trascura nessuno dei temi cari alla sua scrittura, inserendo negli interstizi più impensabili della trama dell’opera piccole storie da una Calabria dimenticata. Ne è un esempio la vicenda del medico Ponziano Salerno, sequestrato dalla ‘ndrangheta nel 1986 e rilasciato dopo mesi di prigionia, o quella di Ciccio Giugno, il partigiano calabrese che ricorda il personaggio calviniano de “Il sentiero dei nidi di ragno”.
Ma “Ti ho vista che ridevi” è soprattutto una storia di migrazioni. Il destino di migranti ha toccato da sempre i calabresi: migranti per povertà, guerre e disgrazie. Quella dell’emigrazione matrimoniale è forse un pezzo di storia delle migrazioni meno conosciuto, che Lou Palanca tratteggia sul volto di Dora, sulla scia del lavoro di Nuto Revelli e del suo “L’anello forte”.
Il racconto parte da Riace, negli anni delle lotte contadine, e il cerchio si chiude nella Riace di oggi, miracolo dell’accoglienza nel cuore di una Calabria sempre più povera di risorse, di nascite, di futuro. Il borgo incastonato tra le Crete della costa ionica, ospita oggi 400 persone tra richiedenti asilo e rifugiati, impegnate in progetti che hanno dato nuovi stimoli all’economia locale, in un paese che fino a qualche anno fa rischiava di scomparire: un’invasione salvifica, miracolo di integrazione e di sviluppo economico, proprio come accadde nelle Langhe di 50 anni fa. Perché, come scrive Carlo Petrini nella prefazione, alla fine “ci salvano gli altri, sempre”.