“L’auspicio è quello che la carta archeologica costituisca per il Comune di Osimo, e per tutte le singole amministrazioni comunali e locali in genere, strumento fondamentale di conoscenza del territorio nella sua evoluzione storica e divenga da subito elemento indispensabile nella progettazione edilizia e nella stesura dei piani regolatori, affinché il ‘rischio archeologico’… si trasformi in ‘potenzialità archeologica’, diventando prevedibile e integrandosi agli altri dati ambientali nella progettazione”. Scriveva così nel 2003 Cecilia Gobbi ragionando sull’applicazione pratica della carta archeologica delle Marche al Comune di Osimo.
Tra i siti ricordati quello nell’“area dell’ex Consorzio Agrario dove negli anni ’30 furono rinvenute tracce di una strada glareata romana con relativo sepolcreto”. La circostanza che fosse stato inserito tra i casi di “zone suscettibili di ulteriori rinvenimenti” fu tutt’altro che casuale. Così quando nel 2013 la Soprintendenza archeologica delle Marche realizzò indagini nell’area compresa tra via Montefanese e via Ungheria, la scoperta di importanti resti antichi non suscitò scalpore tra gli addetti ai lavori. “Sono emerse le fondazioni di una basilica cimiteriale, una necropoli con tombe paleocristiane, molto povere e prive di corredi, scoperte sul versante a valle (lato S. Carlo), mentre a monte (lato traversa/via Ungheria) sono affiorati frammenti del diverticolo romano della via Flaminia e un fosso di età romana”, dichiarò Maurizio Landolfi, ispettore della Soprintendenza responsabile dello scavo.
Ma a rallegrarsi di quei rinvenimenti che permettevano di arricchire le conoscenze non solo della fase romana di Auximum ma anche di quella post-antica non furono in molti. Già, perché le indagini archeologiche realizzate sui circa 5mila mq di proprietà privata, occupati dagli edifici dell’ex Consorzio agrario, erano preliminari ad un’operazione urbanistica che ne prevedeva un riutilizzo. Al posto del complesso degli anni Trenta, un nuovo centro commerciale-direzionale. Invece delle sagome rettangolari, dalle linee regolari e dalla struttura compatta ma leggera, secondo il progetto iniziale, un edificio di tre piani esteso su 2500 mq., con uffici, spazi commerciali e artigianali, un supermercato e un parcheggio su due livelli interrati per 180 posti auto.
Un piano di recupero in variante al Prg dalla storia complessa e contraddittoria. Adottato fin dal gennaio 2007 e approvato nel maggio 2008, ma revocato nel maggio 2012 per la rinuncia della proprietà dell’area “a causa della grave crisi economica esplosa nel 2008 che ha di fatto mutato i presupposti tecnico-economici”. Autorizzato nuovamente nell’ottobre 2013, dopo che la F.lli Simonetti Srl, proprietaria dell’area, aveva proposto un progetto, concordato con il Comune e la Soprintendenza archeologica, che solo in parte contemplava una tutela dei resti rinvenuti. Ancora, con un primo pronunciamento del Tar Marche nel gennaio 2014 ed il sequestro dell’area da parte dei Carabinieri e quindi con la successiva sentenza dell’aprile 2014 con la quale il Tar decretava l’avvio dell’iter autorizzativo.
Nel frattempo nel maggio 2013 si era proceduto alla “demolizione completa dell’immobile attuale”, autorizzata nel novembre 2012, pur non essendo più presente una variante al Prg. Soprattutto, dopo le scoperte archeologiche, ad Osimo era stata avviata, con un processo partecipativo innescato dalla locale sezione del M5s, una riflessione sui risvolti dell’operazione. La petizione sottoscritta da circa 3000 cittadini nell’estate 2013 e l’incontro pubblico con la Soprintendenza archeologica nell’ottobre dello stesso anno e poi un’altra nell’ottobre 2014, avrebbero dovuto suggerire all’amministrazione comunale se non un ripensamento almeno una condivisione con la città. Un dibattito con le realtà locali impegnate nella tutela e nella possibile valorizzazione del sito.
Perché in fondo sono proprio questi gli elementi più critici di questa vicenda. Proprio il lungo iter e soprattutto lo stop del 2012 avrebbero dovuto consigliare un ripensamento su un progetto che sembra mostrare tutti i suoi limiti. Non tanto dal punto di vista architettonico, anche se lo skyline del nuovo complesso sembra avere un impatto non trascurabile sul paesaggio osimano, ma piuttosto per quel che riguarda la funzione commerciale. I grandi megastore non sempre hanno successo e, circostanza tutt’altro che trascurabile, influiscono negativamente sul piccolo e medio commercio locale.
Un progetto insomma che rischia di mostrarsi “vecchio”, superato, anche dal punto di vista delle potenzialità, dell’attrattiva, come sottolineato dal consigliere del M5s Sara Andreoli. Nulla di tutto questo. Nessun tentativo di idea alternativa. Nessun riscontro neppure alla proposta del consigliere del M5s David Monticelli di creazione di un parco archeologico. Nonostante un ulteriore elemento: il vincolo apposto dalla Soprintendenza archeologica nel febbraio 2014, sulla base dell’analisi interpretativa finale. A riemergere erano parti di uno dei monumenti più importanti di Osimo medievale, i resti della basilica cimiteriale identificati “con la basilica di San Donato, citata in documenti scritti fin dal IX secolo… scomparsa presumibilmente prima del 1700”, come scrive Landolfi nella Relazione illustrativa allegata al decreto di tutela. Nonostante nel giugno dello stesso anno le politiche avessero decretato un cambio nell’amministrazione comunale.
La scelta sembra essere stata aprioristicamente fatta. A prescindere. Così quando nel marzo 2015 il Consiglio comunale approva definitivamente la variante, dopo il nulla osta della provincia, a stupirsi sono in pochi. La vicenda della settecentesca Villa San Martino di via Chiaravallese, demolita nel 2013, aveva già mostrato scelte urbanistiche del Comune non di rado indirizzate scriteriatamente alla realizzazione di nuove cubature. Spesso senza badare alla conservazione del patrimonio storico.
Il permesso a costruire rilasciato dal Comune ad agosto sembra chiudere la questione. Il cantiere inizia. Come sembra, la scelta di chiamare il complesso in costruzione San Donato più che segnalarsi come un rispettoso riferimento alla presenza della basilica, appare un goffo tentativo di dare memoria a quel che si è marginalizzato. Con colpevole perseveranza. In mancanza di un’idea di città si continua con i vecchi progetti.