Boom di pubblico e critica solo nel '92 quando aveva già 67 anni, lo scrittore siciliano è diventato famoso nel mondo per i suoi gialli e il suo celebre commissario. Imitato, adorato, discusso, lui tira dritto: "La mia esistenza non è stata cambiata dal successo"
Nel 1992, alla non più giovane età di 67 anni, un signore siciliano che aveva lavorato in Rai comincia a mietere successo di critica e di pubblico con il suo libro La Stagione della caccia (Sellerio). Certo, fino a quel momento neanche un centinaio di persone aveva letto i suoi romanzi storici scritti negli anni ottanta che, a dire il vero, nemmeno oggi, nel giorno del suo 90esimo compleanno, quando la sua è diventata una figura di rilievo internazionale, vengono recuperati con particolare foga.
Andrea Camilleri chi? Scartato e dimenticato da parecchi editori per decenni, dall’anonimato letterario, Andrea da Porto Empedocle (Agrigento) si scopre scrittore popolare quando è già in fila alle poste per le prime mensilità Inps. Centinaia di migliaia di copie vendute nel mondo, perfino nel piovoso Yorkshire. Camilleri sono. Il Commissario Montalbano in nemmeno due anni diventa marchio di fabbrica e macchina da guerra nel vendere quei piccoli volumetti blu Sellerio come non era riuscito ad alcun autore. Dal 1994 con La Forma dell’acqua, la saga, anzi la formula “Montalbano” è stata riprodotta fino ad oggi in altri 37 volumi, alcuni di raccolte, altri in collaborazione con colleghi, ma sempre con il mitico commissario protagonista. “Tutti i romanzi di Montalbano si compongono di 180 pagine conteggiate sul mio computer, divise in 18 capitoli di 10 pagine ciascuno”, spiegò Camilleri in un’intervista nel 2010.
“E’ un grande scrittore e basta”, spiega Carlo Lucarelli al FQMagazine. “Si è inventato una lingua tra l’italiano e il siciliano, ed è stato imitato da tantissimi. I fenomeni di solito non vengono subito compresi. Quando lessi per la prima volta un libro di Camilleri ero in treno e d’istinto mi venne di telefonare a quella che era anche la mia editrice, la signora Sellerio (Lucarelli ha pubblicato tre libri con Sellerio fin dal 1990, ben prima di Camilleri ndr), per dirle che doveva mettere la traduzione a fronte. Solo che dopo una pagina improvvisamente riuscii a leggere senza più problemi il “camillerese”. “Il suo segreto è stato quello di non essersi mai posto come un maestro della letteratura, anche se lo è, soprattutto con noi nuovi giallisti – continua Lucarelli – oltre allo sdoganamento di Eco con Il nome della rosa, alle pubblicazioni di Sellerio e Adelphi non in una collana a parte, dobbiamo al successo di Camilleri la popolarità raggiunta dal nostro ‘genere’ ”. Lucarelli ha anche scritto un libro con l’autore siciliano che si intitola Acqua in bocca (Minimum Fax): “E’ stata una lavorazione lunga ma intensa. Tutto nacque dall’idea ‘e se Grazia Negro incontrasse Montalbano cosa si direbbero?’. Così gli ho spedito la prima richiesta firmata da Grazia usando la carta intestata della Questura di Bologna. Lui, anzi Montalbano, mi ha risposto dicendomi che non mi poteva aiutare. Subito non capii che era uno scherzo, perché quel dialogo tra i due personaggi continuò spesso con messaggi scritti su pezzi di carta e volantini trovati per caso”.
Camilleri arriva per ultimo e diventa il primo. In nemmeno vent’anni ristabilisce le distanze logiche dell’anagrafe. A 90 anni è comunque il maestro, l’esempio da seguire. Anche se prima di lui hanno scritto in tanti, e lui non fa mistero delle sue radici. “Io lo chiamo l’elettricista Sciascia – spiegò Camilleri al Guardian – Quando mi sento le batterie scariche prendo in mano un libro di Leonardo, lo apro, leggo due pagine e le batterie si ricaricano”. “Nella narrativa di Sciascia viene contrapposto in un modo ossessivo il mondo mafioso e il mondo della legge (ad es. ne ‘Il giorno della civetta’)”, spiega il giallista Aldo Budriesi, autore di Identità Violate (Gialli Mondadori) e del saggio su Sciascia, Pigliari di lingua. “Una contrapposizione che lo porterà a stravolgere e snaturare i moduli narrativi derivati dalla formula del giallo (‘A ciascuno il suo’). Camilleri, invece, non contrappone nei suoi gialli, pur ambientati in Sicilia, mondo della mafia e mondo della legge. Le sue trame narrative sempre molto semplici permettono di esaltare la capacità del suo protagonista di comprensione psicologica dei personaggi che agiscono nella vicenda”.
Camilleri comunque raddrizza diverse storture narrative, pialla, lima, fa diventare il suo giallo uno schema continuamente riproducibile. I punti di vista critici non mancano, spesso anche feroci. “Capisco che i siciliani, in Sicilia, anche oggi quando parlano tra loro usino il dialetto”, ha scritto Alfonso Berardinelli in Non incoraggiare il romanzo (Marsilio). “Leggere un dialogo in perfetto italiano dentro a un commissariato, per la strada o in casa potrebbe (dico potrebbe) sembrare un eufemismo letterario che toglie credibilità ai personaggi e alle scene. Ma qui è proprio il narratore onnisciente, è Camilleri in persona che si prende il gusto di parlare ai suoi lettori come se fossero tutti siciliani e lui fosse un cantastorie o un “puparo”. Lui non è né un cantastorie né un puparo e quindi usando così il dialetto non dice più verità, ne dice meno, sta recitando in costume regionale per il piacere dei turisti”.
Infine c’è il Camilleri intellettuale progressista che interviene in politica da anziano, non da libertario 18enne. L’antiberlusconiano prima, poi vicino alle cause dipietriste, e ancora nell’area della lista Tsipras. “E’ la fase del vate, del messia politico di Piazza Navona, è l’aspetto messianico del fenomeno pop Camilleri”, spiega al FQMagazine Alessandro Trocino, autore di Pop star della cultura (Fazi). “E’ l’anziano saggio col capellino che spara commenti anche con una certa violenza verbale, e una certa volgarità. Qui esce dal ruolo dell’intellettuale non pop, quello che pone domande e non dà risposte e propone la visione manichea dei buoni e cattivi. Insomma, uno molto diverso da un Camus o da un Houellebecq. E dire che nei suoi romanzi non ha mai rischiato una virgola, sono scritti geometricamente e in modo rassicurante, come farebbe un bravo artigiano o un onesto manovale della scrittura”. E lui nascosto tra neologismi, arancini, e gite a Santa Fiora, saluta i 90 anni come nulla fosse: “Arrivato ormai agli sgoccioli, mi rendo conto che per tutta la vita sono stato sempre pronto a perdere quello che avevo faticosamente guadagnato senza farne una tragedia. (…) Il successo, arrivato in età avanzata, non ha alterato in nulla il corso della mia esistenza”. (Segnali di fumo, Utet)