Il presidente francese ribadisce la propria posizione su Assad: "Ha rifiutato ogni discussione. A Damasco serve una soluzione, ma non può passare da lui". Appoggio dell'Onu: "Non c'è più tempo, combattano più paesi possibile"
La guerra all’Isis e l’intervento in Siria tornano a essere un’opzione possibile per la comunità internazionale, ma l’Italia e la Germania non intendono intervenire insieme alle potenze europee. Per l’Onu a combattere l’Isis “deve essere il maggior numero possibile di paesi”. A parlarne apertamente è stato il presidente della Repubblica francese Françoise Hollande che ha scelto la crisi siriana come argomento tra i più importanti nella sua conferenza semestrale all’Eliseo, che riguarda da vicino del resto la questione immigrazione al centro del dibattito politico europeo nelle ultime settimane. Il capo di Stato francese ha già dato il via a voli di ricognizione sul territorio siriano, che partiranno già domani. “Ho chiesto al ministro della Difesa – ha annunciato Hollande – di organizzare voli di ricognizione sulla Siria, in vista di eventuali raid contro lo Stato islamico. In Siria vogliamo sapere cosa si prepara contro di noi e cosa si fa contro la popolazione siriana. Per questo ho deciso di organizzare questi voli di ricognizione, in collegamento con la coalizione. Secondo le informazioni che raccoglieremo potremo condurre dei raid”. Nelle stesse ore, peraltro, l’aviazione irachena ha usato per la prima volta gli F-16 comprati dagli Stati Uniti attaccando i jihadisti dell’Isis (l’esercito di Baghdad ha ricevuto i primi quattro F-16 in luglio e ne attende altri).
Il capo dell’Eliseo ha rivendicato come “di fronte al terrorismo, la Francia si è sempre assunta le sue responsabilità”, in Mali, contro Boko Haram, nella Repubblica Centrafricana. Allo stesso tempo ha escluso la possibilità di inviare truppe di terra: “Credo che sarebbe incoerente e irrealistico, perché saremmo i soli. Incoerente perché si trasformerebbe in un’operazione di una forza di occupazione e noi non facciamo operazioni di terra”.
Hollande ha ribadito la propria posizione anche su Damasco: “Abbiamo sempre detto che la soluzione non può passare con il mantenimento di Bashar al-Assad al potere in Siria. Bashar Al Assad ha sparato sul suo popolo, ha usato armi chimiche, è lui che ha rifiutato ogni discussione”. “In Siria serve una soluzione. Ma non può passare da lui” ha aggiunto Hollande.
Ad Hollande ha subito replicato Matteo Renzi dagli studi di Porta a Porta: “In Siria – ha detto il premier – c’è un presidente, (Bashar al)Assad, che controlla una parte del territorio. L’Italia non partecipa a iniziative che Francia e Inghilterra hanno annunciato di studiare”. Anche Sigmar Gabriel, vicecancelliere tedesco, si è detto contrario a un intervento della Germania: “Non credo sia il nostro compito. Non credo che dovremmo intervenire in questo conflitto con mezzi militari”.
Il discorso sulla crisi siriana è partito dalla questione immigrazione che in questo momento è al centro del dibattito politico europeo. “La Commissione europea – ha detto il presidente francese – proporrà una ripartizione di 120mila profughi da accogliere nei prossimi due anni. Significa 24mila per la Francia. E noi lo faremo”: un atteggiamento analogo a quello della Germania e d’altra parte negli ultimi mesi Parigi ha stabilito spesso un asse con Berlino. Hollande ha parlato della necessità di “far fronte all’afflusso dei profughi con umanità e responsabilità”. Tuttavia le differenze con Berlino ci sono, secondo il capo dello Stato francese: “La Francia non è nella stessa situazione della Germania, che avrà 800mila richiedenti asilo in più nel 2015. Qui la cifra è stabile, 60mila”. Hollande ha anche spiegato di aver sempre “rifiutato il termine ‘quota’ perché creava un’ambiguità: il diritto d’asilo è un diritto fondamentale e non possiamo rifiutarlo. Il meccanismo che proponiamo è una ripartizione. Il solo cambiamento rispetto al passato è che sarà obbligatorio”.
“Non c’è più tempo”, ha detto in una conferenza stampa Staffan de Mistura, inviato speciale delle Nazioni Unite. “Se i 4 paesi che hanno influenza si parlano, Stati Uniti e Russia ma soprattutto Iran e Arabia Saudita, il conflitto può essere risolto in un mese”. Ma “se ci si continua a nascondere dietro l’alibi” dei colloqui dei working group “l’unico ad avanzare sarà l’Isis” che “ormai è vicino a Damasco”. E ha concluso: “I siriani continueranno a fuggire a decine di migliaia“, con il “rischio che parta un milione di persone da Latakia che è sul mare. L’Ue può fare due cose urgenti: trovare il modo di ricevere i rifugiati in dignità e aumentare gli aiuti, perché finora è stato versato solo il 31% di quanto promesso dalla comunità internazionale”.
A pesare sulle scelte del presidente della Repubblica francese c’è, come altrove, anche la politica interna: Hollande è ai minimi storici in termini di popolarità: per un sondaggio pubblicato dal Figaro, ad oggi sarebbe escluso dal ballottaggio delle presidenziali 2017 (per le quali sarebbero scelti dagli elettori Marine Le Pen e il candidato neogollista, Alain Juppé o lo stesso ex presidente Nicolas Sarkozy). Anche per questo motivo il presidente ha annunciato un taglio delle tasse nel 2016 per 2 miliardi di euro.
Intanto secondo i dati forniti dall’Iran sono circa 100mila gli uomini dell’Isis che combattono nella regione occidentale dell’Asia – prevalentemente Iraq e Siria – fra cui 5mila ceceni, pagati con un salario mensile di 200 dollari. Secondo il consigliere della Guida suprema per gli affari militari, il generale Yahya Rahim Safavi, i responsabili della diffusione dello Stato islamico nell’area sono però gli Stati Uniti. Ieri – in una conferenza stampa con il suo collega ceco – il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif aveva sottolineato che l’Iran combatte sempre contro la violenza e il terrorismo, ma purtroppo le politiche Usa hanno aggravato la situazione nella regione ed i loro alleati sostengono l’estremismo in modo diretto o indiretto. Rivolgendosi al segretario di stato Usa John Kerry, Zarif lo ha invitato a non parlare per venire incontro alle richieste di gruppi di pressione politica, ma di comprendere la vera realtà della regione e di agire in modo da non crearvi ulteriore caos.