Oggi è il #Nocastaday, la giornata nazionale di protesta contro lobby e corporazioni. Tra queste ci sono le farmacie. In Italia, al contrario del resto d’Europa, il mercato è blindato. La licenza non è libera ma vincolata al numero di residenti sul territorio. Un criterio che risale a più di un secolo fa. Alla riforma Giolitti del 1913, precisamente, secondo cui l’apertura di nuove farmacie non doveva più essere discrezionale. Fu previsto inoltre che l’esercizio potesse essere autorizzato solo tramite concorso. Oggi, lo sappiamo, non è così: la concessione viene ereditata, acquistata o vinta per concorso. A patto che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti, come previsto dal governo Monti (art. 11 della legge 27 del 2012). Fino a prima invece ce ne doveva essere una ogni 5000 abitanti nei comuni con popolazione fino 12.500 abitanti e una ogni 4000 abitanti negli altri.
Il 25 giugno il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella aveva invitato i nostri deputati a fare di più nel campo delle liberalizzazioni perché il ddl concorrenza (in discussione alla Camera), pur costituendo un passo in avanti, non è abbastanza. In particolare, sulla deregulation delle farmacie, ha detto che “il disegno di legge va nella giusta direzione” ma “restano tuttavia ancora inascoltate le proposte dell’Autorità con riguardo all’esigenza di superare l’attuale sistema di contingentamento del numero di farmacie presenti sul territorio nazionale attraverso la trasformazione dell’attuale numero massimo in numero minimo”. Parole come foglie al vento. Perché la resistenza di Federfarma, il sindacato dei titolari delle farmacie private, ultracontrario alla richiesta, ha avuto la meglio. Il risultato è che il ddl Guidi approvato dal Consiglio dei ministri mantiene invariato il numero di farmacie tutelando l’interesse della casta. L’unica novità introdotta nel testo riguarda le società di capitali, che potranno anche loro essere titolari di farmacie, e il limite di quattro licenze per società, che sparirà. Comunque va detto che oggi in Italia ci sono 18.200 farmacie, un dato in media a quello degli altri Paesi.
Un altro nodo irrisolto è la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, cioè quelli per cui è necessaria la prescrizione del medico ma sono a carico del cittadino. Analgesici, antiacidi, antinfiammatori vari, di cui sono pieni i nostri cassetti. In Italia il loro costo è tra i più alti in Europa (più 130 per cento in certi casi). Il presidente dell’Antitrust, nella stessa occasione, si era raccomandato di procedere in tal senso. Di nuovo, il ddl concorrenza tace sulla questione e lascia tutto così com’è. Pare che a opporsi sia in particolare Ncd, il partito di cui fa parte il ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
Il Movimento nazionale liberi farmacisti (cioè quelli non titotari) è sul piede di guerra. Da anni chiede che la vendita di quei medicinali venga estesa anche alle parafarmacie (adesso abilitate solo per i prodotti da banco, ossia tutti quelli senza obbligo di ricetta). Ovviamente se aumentano i distributori, c’è più concorrenza nei prezzi. Questo si traduce in un vantaggio per i cittadini, che in tempi di crisi, potranno pagare molto di meno quei farmaci. Secondo uno studio di Altroconsumo, il risparmio sarebbe di almeno 600 milioni di euro l’anno. Dunque la misura è quanto mai urgente. Ma ai piani alti non sembra importa nulla. Tra gli oltre cento emendamenti al ddl, ce ne è uno a prima firma di Adriana Galgano (Scelta civica), Marco Di Stefano e Renzo Carella (entrambi Pd), che chiede l’introduzione della liberalizzazione sia del numero di farmacie sia dei farmaci di fascia c.
Mobilitiamoci tutti, facciamo massa critica, le cose vanno cambiate, un governo che non tende le mani ai suoi cittadini non fa il loro bene.