Il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità matrimoniale era rimasto "identico per tre secoli", dai tempi della riforma di Benedetto XIV, Papa Lambertini. Il pontefice è intervenuto spingendo sulla "gratuità delle procedure" nei processi di nullità matrimoniale, basterà inoltre una "sola sentenza" in "favore della nullità esecutiva" delle nozze, ritenendo "sufficiente la certezza morale raggiunta dal primo giudice a norma del diritto"
Il vescovo diocesano potrà dichiarare nulli i matrimoni. Lo ha deciso Papa Francesco in due leggi che riformano il Codice di diritto canonico e quello dei Canoni delle Chiese orientali, a poche settimane dall’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che dovrà trovare soluzioni concrete per l’accoglienza dei divorziati risposati e dei gay. Processi di nullità matrimoniale più brevi e l’introduzione della figura del giudice vescovo che potrà sciogliere le nozze. L’altra novità importante, che era stata chiesta dal Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014, riguarda l’abrogazione della doppia sentenza conforme in favore della nullità matrimoniale: ne basterà una sola per procedere a nuove nozze canoniche.
Bergoglio aveva puntato più volte il dito contro “il giro di affari” nel quale spesso si svolgono questi processi chiedendo che fossero gratuiti. Ora nelle nuove leggi il Papa precisa che “insieme con la prossimità del giudice curino per quanto possibile le Conferenze episcopali, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”. L’intenzione di Francesco è che “si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”.
Nei criteri fondamentali che hanno guidato l’opera di riforma voluta dal Papa si ribadisce che “le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa” per la “necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo”. Oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, Bergoglio ha designato una forma di processo più breve, in aggiunta a quello documentale, “da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti”. Il Papa precisa che “non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”.
Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve si annoverano: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.
Anche la costituzione dei giudice unico, comunque chierico, in prima istanza viene rimessa dal Papa alla responsabilità del vescovo che “nell’esercizio pastorale della propria potestà giudiziale dovrà assicurare che non si indulga a qualunque lassismo”. L’ultima novità riguarda l’appello che potrà essere fatto alla sede metropolitana della propria diocesi, pur mantenendo comunque quello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè la Rota Romana. “Alimenta la spinta riformatrice – sottolinea Francesco – l’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale; la carità dunque e la misericordia esigono che la stessa Chiesa come madre si renda vicina ai figli che si considerano separati. In questo senso sono andati i voti della maggioranza dei miei fratelli nell’episcopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha sollecitato processi più rapidi e accessibili”.
Twitter: @FrancescoGrana