Si parla in questi giorni della longevità della regina Elisabetta. A proposito di intramontabili regnanze, anziché commentare l’invito a Porta a Porta del clan Casamonica (che si commenta da solo), verrebbe voglia di ripercorrere la biografia di Bruno Vespa. Ricordando, per esempio, quando nel 1990, per volontà del governo Andreotti, la sua carriera fece un vero e proprio salto di qualità, arrivando alla direzione del Tg1 per sostituire una persona seria e pulita come Nuccio Fava, colpevole di aver mandato in onda l’inchiesta di Ennio Remondino su Cia, P2 ed eversione. Ovvero di aver fatto il proprio dovere.
Ma sarebbe, forse, un esercizio inutile, una ripetizione di cose già scritte e già dette. Oltre che un favore al narcisismo del personaggio.
Forse è più utile ricordare cosa disse di Vespa, tanti anni fa, un suo collega. Per aiutare i telespettatori di oggi a comprendere quale sia la vera natura del direttore/conduttore più longevo d’Italia e perché sarebbe ora – meglio tardi che mai – di allontanare questo signore dal trono che, da decenni, occupa per volontà dei governi. Una speranza che, a dire il vero, la nuova presidenza della Rai rende abbastanza ingenua.
Correva l’anno 1992. A febbraio, con l’arresto dell’ingegnere socialista Mario Chiesa, era scoppiato lo scandalo Tangentopoli. Un mese dopo Cosa Nostra aveva inviato un chiaro messaggio ad Andreotti, assassinando l’onorevole Salvo Lima. Nel frattempo in Francia si avviavano al declino la presidenza Mitterrand e il partito socialista. Il 24 marzo il giornalista Andrea Barbato indirizzava a Vespa una delle sue memorabili “cartoline”. Ne riporto alcuni passaggi, tristemente attuali.
Caro direttore,
per molte ragioni sono lieto di aver ascoltato con attenzione, ieri sera, l’editoriale di commento che hai voluto personalmente dedicare all’esito delle elezioni francesi: e si è capito subito che non tanto ti interessavano i risultati delle regionali francesi, quanto il possibile paragone con l’Italia, e la lezione da trarne. E infatti lì, proprio lì è andato infine a parare il tuo breve intervento. Se lo discuterò, non sarà certo per sottintendere, come farebbero altri, che si tratta di una parola d’ordine di partito. Sono convinto che quelle idee siano proprio tue, spontaneamente tue: e questo mi consente di confutarle. (…)
Tu hai tracciato un breve quadro della Francia, del voto di protesta che viene ormai da molti ceti, e che è giustificato da molte arretratezze dello Stato, sia da noi che altrove. E ne hai dedotto, come molti, che la Francia potrebbe essere ora, per questa protesta, paralizzata e ingovernabile. Si potrebbe dire di più ma non mi fermerò su questo. Sono le poche frasi che seguono a farmi drizzare le orecchie. La prima, riferita all’Italia, è questa: «Le riforme può farle solo chi governa». Il che è formalmente ineccepibile. Ma si vota apposta per decidere chi debba governare e chi no. Se il governo fosse già deciso, a che pro scomodare gli elettori? (…) Ma il bello deve ancora venire, perché tu hai aggiunto: «Chi preferisce un Paese ingovernabile fa una scelta ineccepibile in democrazia», e grazie tante. Ma dunque chi protesta dovrebbe già sapere che renderà il Paese ingovernabile, e perciò non si azzardi a farlo… Comodo no? E infine, la coda: «L’importante è conoscerne le conseguenze». Attenti, dunque, il sillogismo è questo: solo chi governa può fare le riforme, il voto di protesta è contro chi governa, perciò votare contro il governo è votare contro le riforme. Oplà! (…)
Il fatto è, caro Vespa, che nelle tue frasi finali di spontaneo elogio filogovernativo, riveli una verità sconsolante. E cioè che non ha ancora fatto strada da noi la nozione che essere all’opposizione è una cultura rispettabile almeno come essere al potere. (…) Finché non si capisce che il «no», la protesta, l’alternativa, l’opposizione non significano mandare il Paese allo sfascio, ma fornirgli un’altra lettura dei fatti, un altro modello di futuro, altrettanto nobile e valido, allora saremo sempre una democrazia repressiva e incompiuta. Dove tu puoi dire la tua, e io posso confutarti, ma dove non tutti sono autorizzati a parlare. Dove si ha un po’ paura del dibattito politico. Dove se solo si profila qualcuno che la pensa in modo diverso, si cerca subito, se non altro, di gridare al pericolo, e di ammonire che sta rendendo il Paese ingovernabile e che dovrebbe conoscerne le conseguenze: come hai letteralmente detto tu. E anch’io dirò, come te: posizione lecita, ineccepibile, la tua. Ma guardate, amici spettatori, dove ci ha portato.
Un saluto da Andrea Barbato