L’imponente parata militare con cui il governo cinese ha celebrato nella capitale il 70° anniversario della fine della guerra contro il Giappone ha mostrato davvero al mondo i “muscoli” del Dragone? Dal balcone in piazza Tienanmen il presidente Xi Jinping ha annunciato l’attesa riforma dell’esercito con un taglio di 300mila unità. Al momento gli effettivi sono 2,3 milioni. Tra le nuove armi presentate durante la parata, sono sfilati i nuovi droni ma soprattutto i missili balistici Dongfeng-21D con una gittata di 1.450 chilometri, in grado da soli di affondare una delle enormi 10 portaerei Usa in pieno Pacifico.
Pechino avrebbe già sviluppato una versione a lunga gittata dello stesso missile, il DF-26 che può centrare una portaerei a 3.500 chilometri di distanza. Fino agli anni Ottanta la dottrina militare cinese era basata sul concetto più vetusto di “guerra popolare”: questa dottrina, elaborata da Mao-Tze Tung durante la guerra contro il Giappone (1937-’45) e la successiva guerra civile (’45-’49), prevedeva la cooperazione tra truppe regolari e milizie popolari e puntava sulla mobilità e sulla guerriglia.
Con la conclusione della Guerra fredda l’esercito cinese è passato attraverso diverse fasi: la guerra popolare in condizioni moderne, la guerra limitata in condizioni di tecnologia avanzata, la guerra limitata in condizioni di tecnologia avanzata e informazione. Oggigiorno la modernizzazione della Marina cinese pare mettere in apprensione non solo gli Usa ma soprattutto gli Stati del Pacifico a cominciare dal Giappone. Eppure in realtà l’agire della Cina sulla scena internazionale sembra invece seguire la “strategia dell’elefante”. I movimenti lenti del pachiderma rendono bene l’immagine della Cina come potenza regionale rispettata sul piano internazionale, un paese che non minaccia la sicurezza dei paesi vicini e non ne teme le minacce. Nella sua interpretazione delle leggi secolari della politica fra le nazioni, Shi Yinhong classifica gli Stati in tre categorie: leader, contendenti e seguaci.
Oggi il titolo di leader e guida mondiale sembra non interessare la Cina nonostante abbia voluto mettere in vetrina il suo arsenale militare. Gli Stati Uniti e il Giappone hanno diffuso la teoria della “minaccia cinese” che la Cina prontamente rigetta accusando gli Usa di vendere armi a Taiwan. Proprio Taiwan, mina vagante dell’intera architettura regionale del Pacifico. Eppure questa rivalità Cina-Usa può risultare molto meno evidente sull’aspetto pratico visto che l’America ha sempre finito per trattare come amici coloro che non riesce a sconfiggere e viceversa chi le obbedisce ciecamente viene inevitabilmente accantonato.
Il problema è che nel 2015 nella regione non esiste un sistema collettivo per la sicurezza mentre restano aperte numerose dispute di confine che portano i singoli paesi ad aumentare sempre di più le spese militari per sentirsi più sicuri. Il vero obiettivo appare quindi un altro e non quello di mostrare i propri muscoli per spaventare il resto del Mondo e dichiarare guerra a qualcuno. In questo periodo storico non conviene a nessuno visto che la stessa Cina ha altre priorità comprese quelle legate al mercato interno e al rafforzamento di un sistema panasiatico Cina-India con quest’ultima cresciuta ancora più velocemente.