Il leader di Ncd e ministro dell'Interno rilancia l'azione del suo partito: “Non vedo perché l’Alta velocità arrivi a Reggio Calabria (in realtà si ferma a Salerno, ndr) e poi ci si debba tuffare in mare”. Ai suoi intima: “Chi vuole andarsene vada pure, io faccio le riforme con Renzi”
Angelino Alfano non si ferma. Macina risultati, uno dopo l’altro. “Siamo qui e dall’inizio di questa avventura, alla Camera e al Senato siamo aumentati e siamo determinanti per il governo”. E dopo essersi appuntato, da solo, la medaglia al petto sulla missione compiuta dell’abolizione dell’articolo 18, ora mette l’acceleratore su un progetto “nuovo”, che riemerge di nuovo dopo diversi funerali: il ponte sullo Stretto di Messina. “Non vedo ragioni per cui non si debba più parlare del Ponte sullo Stretto di Messina – dice il leader del Nuovo Centrodestra – e noi in Parlamento presentiamo una proposta di legge per realizzarlo. So che la sinistra si opporrà, ma accadrà come con la riforma dell’articolo 18: dicevano che avevamo lanciato un dibattito ferragostano, e ora è legge dello Stato”.
Il ministro dell’Interno lo ha detto mentre presentava il piano di Area Popolare (cioè l’alleanza tra Ncd e Udc) per il rilancio del Sud, nella sede dello Svimez, l’associazione per lo svIluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Alfano ha aggiunto che “non è possibile che l’Alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria e poi ci si debba ‘tuffare’ nello Stretto, per poi rincominciare a viaggiare a… bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare”. Peraltro attualmente l’Alta velocità arriva a Salerno e l’annuncio dato in un primo momento dal presidente del Consiglio Matteo Renzi era stato frenato dal ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio.
Eppure l’aria sembrava cambiata da molto tempo. Ad aprile uno dei primi effetti dell’arrivo di Delrio al ministero, per dire, fu l’addio di Pietro Ciucci, il presidente della Società Ponte sullo Stretto e grande sponsor della grande opera. Nel novembre 2014, invece, il predecessore di Delrio, Maurizio Lupi – esponente dello stesso partito di Alfano, di cui ora è capogruppo alla Camera – diceva: “Il capitolo Ponte sullo Stretto è chiuso perché lo ha chiuso qualcun altro. Le leggi in Italia si rispettano”. “Qualcuno, nel 2012, ha approvato – aggiunse – con legge la decisione di mettere in liquidazione la società. Ci sono contenziosi in corso, e quindi lo Stato dovrà, tenendo conto di quella legge, fare gli atti e prendere le decisioni conseguenti”. “Altro ragionamento – proseguì Lupi – è la posizione mia personale e del mio partito riguardo la necessità assoluta affinché il Ponte sullo Stretto si realizzi. Ma per arrivare alla sua realizzazione noi dobbiamo dimostrare che le cose si fanno. Per questo stiamo lavorando per la realizzazione dell’Alta velocità fino a Reggio Calabria, e contemporaneamente, in Sicilia per giungere, finalmente, al raddoppio delle linee ferroviarie che possano ridurre da quattro ore e mezza almeno a due ore i tempi di percorrenza tra Palermo e Catania”. Tutte quelle premesse, ora, sembrano essere saltate.
Ma Alfano rivendica il “metodo articolo 18”. Il capo di Ncd lo tirò fuori quando la politica era in vacanza, in pieno agosto 2014. Le reazioni furono tra l’ironico e lo scettico. Matteo Renzi rispose, lì per lì, che non era un argomento in agenda. Poi è andata com’è andata. “Anche l’abolizione dell’articolo 18 e la rivoluzione del mercato del lavoro – dice infatti il ministro dell’Interno – sono nati da una nostra idea e oggi sono legge dello Stato”.
Così Ncd cerca di farsi spazio, combattendo più con i sondaggi (pessimi) che con gli altri partiti. I giornali parlano di scissioni: chi vuol tornare con Berlusconi e chi invece sta con Renzi. Ma per Alfano è “la solita minestra riscaldata, gli stessi articoli in fotocopia, da due anni”. “E’ chiaro – aggiunge – che c’è sempre un dibattito su chi vuole cambiare maggioranza: io, noi, vogliamo cambiare l’Italia, non cambiare maggioranza. L’economia ricomincia a dare segnali di ripresa, gli indicatori di fiducia crescono: si deve alla nostra scelta coraggiosa che rivendichiamo con fierezza. Poi, è chiaro, c’è chi vuole andare con Berlusconi, e vada con Berlusconi, chi vuol andare con Renzi, vada con Renzi, chi vuol andare con Salvini, vada con Salvini: noi andiamo avanti con chi vuole stare con noi nel progetto che unifichi i moderati italiani in una prospettiva di governo fuori da ogni estremismo. Quindi, accetto scommesse sul futuro: ogni volta che hanno detto che abbiamo problemi, alla fine della gara ci siamo trovati più numerosi di quanti eravamo all’inizio”.
Così, per far vedere quant’è di destra, ribadisce il no al ddl Cirinnà sulle unioni civili appena incardinato al Senato e che il ministro Maria Elena Boschi vuole vedere approvato entro il 15 ottobre perché “non è negazione dei diritti dire no all’utero in affitto, all’adozione e all’equiparazione al matrimonio: senza oscurantismi, noi teniamo la barra dritta, e difendiamo il diritto naturale”. Ma intanto c’è chi crede che Alfano non abbia nemmeno il diritto di pronunciarla, la parola “destra”. L’avvocato Andrea Delmastro Delle Vedove, responsabile Cultura di Fratelli d’Italia, ha preparato un testo da far controfirmare agli elettori: “Se non cambia nome lo porteremo in tribunale”.