“La visione che emerge, tutta concentrata sull’utilità sociale, rischia di ridurre il terzo settore ai soli enti che producono beni o che svolgono servizi sostitutivi di servizi pubblici. Si escludono così tutte le realtà di associazioni che costruiscono relazioni, aiutano ad uscire dalla solitudine, si occupano di diritti civili: dai gruppi di auto aiuto agli scout“. Così la deputata Pd Donata Lenzi, capogruppo in commissione Affari sociali e relatrice alla Camera del disegno di legge delega di riforma del terzo settore, ha commentato i 24 emendamenti al testo presentati dal senatore Stefano Lepri, che ne è relatore a Palazzo Madama. Dove il ddl è bloccato in commissione Affari costituzionali, tanto che lo stesso Matteo Renzi durante il suo intervento alla Festa dell’Unità ha ammesso che l’approvazione slitterà all’anno prossimo. Le proposte di modifica di Lepri vanno dalla definizione dell’impresa sociale fino al tema caldissimo della ripartizione degli utili, quello su cui in questi mesi si è concentrato il dibattito tra gli addetti ai lavori. Secondo Lenzi, però, le correzioni chieste dal compagno di partito rischiano di danneggiare l’universo del “vero” non profit, quello che appunto non produce nulla di tangibile. E di favorirne invece la parte più imprenditoriale.
L’impresa sociale sarà ente del terzo settore – La nuova definizione di impresa sociale contenuta in un emendamento di Lepri depositato in commissione sancisce che sia un “ente di terzo settore (…) che svolge attività imprenditoriale“. Ora, al contrario, l’impresa sociale è definita come “impresa privata con finalità d’interesse generale, avente come proprio obiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, che destina i propri utili prevalentemente al raggiungimento di obiettivi sociali e che adotta modalità di gestione responsabili, trasparenti e che favoriscono il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività”. Un altro emendamento prevede che quelle delle imprese sociali siano “attività svolte esclusivamente nei settori di utilità sociale previsti dall’articolo 4, comma 1 della delega” ma che siano “distinte, in quanto eventualmente svolte purché in forma minoritaria, le attività d’impresa in settori non ricompresi tra quelli di utilità sociale”.
Paletti per la ripartizione degli utili – La proposta di modifica sulla ripartizione degli utili segna una mezza marcia indietro rispetto all’ipotesi di sostanziale liberalizzazione, pur con paletti, contenuta nel testo approvato dalla Camera. L’emendamento prevede infatti che “non possono remunerare il capitale e ripartire gli utili le forme giuridiche per le quali tale facoltà è esclusa per legge, anche qualora assumano la qualificazione di impresa sociale”. Vale a dire che, per esempio, non potranno distribuire dividendi le onlus che assumono quella veste giuridica, mentre lo potranno fare le cooperative sociali, pur con il divieto di superare il rendimento dei buoni fruttiferi aumentato del 2,5% e con il vincolo di destinare almeno il 30% dell’utile a riserva.
Regime fiscale agevolato per chi fornisce beni o servizi in accreditamento – Un altro punto cruciale che ha suscitato le perplessità della Lenzi è quello che riguarda la prevista revisione del regime fiscale in vigore per gli enti del terzo settore. Secondo la deputata, la proposta di Lepri “smonta le attuali norme fiscali per avviarsi ad una soluzione di cui non si conosce l’impatto sul settore né il costo complessivo”. In particolare, gli emendamenti del senatore prevedono che la tassazione sia differenziata in base all’attività svolta più che alla forma giuridica assunta. Per gli enti che svolgono attività economiche non di utilità sociale resterebbe in vigore il regime ordinario, mentre un trattamento di favore riguardo a imposte dirette, tasse locali e Imu sarebbe riservato alle “attività economiche svolte in accreditamento con carattere paritario rispetto ai servizi statali o locali definiti essenziali” e “qualora, da parte dello Stato o delle pubbliche amministrazioni, non siano previsti, in tutto o in larga parte, corrispettivi per le prestazioni”. Infine, avrebbero diritto all’esenzione “attività non economiche, ovvero quote associative, oblazioni, donazioni e contributi“. In caso di distribuzione degli utili, dovrebbe poi essere applicato un regime fiscale di favore “in caso di vendita a prezzo di mercato, rivolta a terzi ovvero agli associati non partecipanti attivamente al rapporto societario” e uno “di maggior favore” nel caso di vendita ai soci. Tutti i dettagli comunque dovranno essere definiti nei decreti attuativi.
Centri di servizio per il volontariato sotto il controllo delle fondazioni – Altra proposta di modifica contestata dalla Lenzi è quella che riguarda i Centri di servizio per il volontariato (Csv), a cui per legge le fondazioni bancarie devono destinare una quota delle proprie elargizioni. Lepri propone che l’organo di governo sia “partecipato a maggioranza dalle fondazioni bancarie finanziatrici, con sola presenza, con quota di minoranza, di organismi di rappresentanza unitaria delle diverse forme di Terzo settore”. Secondo Lenzi, il rischio è che la novità “danneggi le piccole associazioni di volontariato che saranno sacrificate alla competizione tra grandi gruppi sottoponendole ancora di più, per altro, al controllo delle fondazioni”.
Personalità giuridica con accertamento del notaio – L’emendamento che riscrive l’articolo 3 della delega dispone che solo le associazioni che intendono richiedere il riconoscimento della personalità giuridica avranno l’obbligo di costituirsi con atto pubblico. Tra i nuovi criteri compare invece quello per “rivedere e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, attribuendo al notaio l’accertamento delle relative condizioni”.
Servizio civile aperto agli stranieri – Infine un emendamento all’articolo 8 della delega chiede che il servizio civile universale sia esplicitamente esteso anche ai giovani “stranieri regolarmente soggiornanti” in Italia, mentre attualmente il testo uscito dalla Camere prevede solo che i principi di ammissione dei giovani di età compresa tra 18 e 28 anni siano improntati alla “semplificazione, trasparenza e non discriminazione”. Di fatto però una sentenza della Corte costituzionale ha già sancito il diritto degli stranieri a partecipare ai bandi.