Come per il caso Eternit, un altro procedimento per disastro ambientale finisce nel nulla per l'estinzione del reato. Imputati otto ex dirigenti del gruppo chimico. Il pm parla di lacune nelle indagini. Il movimento "No Eni": I nostri morti non meritano questo
Accompagnata dalle assoluzioni per i reati di omicidio colposo, la prescrizione sta diventando una costante dei processi per disastro ambientale. Come è stato per l’inchiesta “Eternit”, conclusa l’anno scorso con la Cassazione che ha annullato senza rinvio le condanne della Corte d’Appello di Torino, anche il Tribunale di Crotone ieri ha assolto gli otto imputati del processo a carico dei dirigenti dell’ex stabilmento Montedison, accusati della morte di alcuni operai che, secondo l’accusa, sarebbe stata determinata dalle polveri di amianto.
Sul banco degli imputati c’erano Maurizio Aguggia (81 anni) di Spinetta Marengo, Giancarlo Savorelli (86 anni) di Buccinasco, Giuseppe Agliata (82 anni) di Cavallasca, Luigi Ferretti (73 anni) di Milano, Dario Capozzi (82 anni), Giulio Verri (74 anni) di Crotone, Alfonso Pezziniti (77 anni) e Ottorino Sapere (64 anni) di Crotone. Tutti hanno lavorato nella fabbrica tra il 1974 e il 1997, quando l’impianto è stato definitivamente chiuso facendo svanire qualsiasi velleità industriale della città di Crotone.
Nel corso della requisitoria, il pubblico ministero Francesco Carluccio aveva chiesto l’assoluzione di tutti per l’accusa di disastro ambientale e per tre casi di omicidio colposo. Per la morte degli ex operai Giuliano Ussia e Tommaso Quaranta, invece, la Procura aveva chiesto la condanna di Maurizio Aguggia e Giuseppe Agliata a 2 anni e 6 mesi di carcere, e di Giancarlo Savorelli, Giulio Verri e Ottorino Sapere a 2 anni e 10 mesi.
Anche questo reato, però, non è stato riconosciuto dalla giudice del Tribunale di Crotone Bianca Maria Todaro che, dopo tre ore di camera di Consiglio, ha dichiarato la prescrizione per l’accusa di disastro ambientale e ha assolto gli imputati: cinque ex direttori dello stabilimento, un funzionario, un capo reparto e un medico.
Si chiude così il processo all’ex Montedison, dopo che il pm Carluccio in aula ha puntato il dito contro chi, in passato, ha condotto le indagini in modo lacunoso e ha ricordato le conclusioni dei periti del Tribunale secondo i quali è impossibile determinare con criteri scientifici se la dispersione delle fibre di amianto possa aver contaminato l’aria adiacente allo stabilimento.
E poco importa se il tasso di malati di tumore è tra i più alti d’Italia e se, già nel 2001, un decreto del ministero dell’Ambiente aveva classificato la città calabrese come sito di interesse nazionale per l’inquinamento ambientale e, per questo, l’aveva inserita tra le zone da bonificare.
Assieme all’ex Pertusola, infatti, l’ex stabilimento Montedison oggi rappresenta il grande “mostro” (guarda il reportage di ilfattoquotidiano.it), un’area che per oltre 70 anni ha illuso Crotone facendole credere di essere la “Torino del Sud”, ma che ha contaminato in maniera gravissima il territorio dove si lavoravano zinco, cadmio, piombo, rame e arsenico.
“Questo processo si deve rifare – ha commentato Pietro Infusino, coordinatore del movimento “No Eni” che da anni si batte per la bonifica dell’area industriale crotonese – I nostri morti meritano almeno questo. Non dobbiamo avere paura. Le persone che decidono sono esseri umani come noi, anche loro possono sbagliare. Presto lanceremo la proposta per contestare l’intera impalcatura di questo processo”.