Dopo le dimissioni di Giovannini, nuovo corso a Palazzo Spada. La nomina del nuovo vertice avvia una fase complicata. Che dovrà fare i conti con la riforma della giustizia amministrativa. Nel mirino del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Sempre più deciso a limitarne le prerogative. A cominciare dai poteri dei tar. Accusati di bloccare deicisioni dei politici, opere milionarie e sviluppo economico
Questa volta si fa sul serio e nulla sarà come prima. Il dossier per la riforma dei tar è in cima alla lista di Palazzo Chigi. Si parte dalla nomina del presidente del Consiglio di Stato dopo che Giorgio Giovannini ha deciso di dimettersi per protesta essendo rimasto inascoltato il suo allarme sulla grave carenza di organico che si determinerà per effetto dei pensionamenti massicci attesi per fine anno. Un gesto inedito per quanto simbolico (sarebbe comunque andato in pensione a dicembre) che dopo la formalizzazione al Consiglio di presidenza, l’organo di autogoverno della magistratura amministrativa, porterà entro 30 giorni a delineare uno scenario nuovo. In pole quattro nomi per la sua sostituzione in una partita dal significato più ampio, specie dopo le ultime dichiarazioni del premier Matteo Renzi che è tornato a tuonare contro l’onnipotenza dei tar. E che da tempo è all’opera in vista di una riforma che non si annuncia indolore.
Tra i candidati più accreditati a sostituire Giovannini, Stefano Baccarini (primo in base al criterio di mera anzianità), Sergio Santoro (già a capo dell’Autorità sugli appalti inglobata nelle competenze di Raffaele Cantone) e Alessandro Paino (in passato sottosegretario del governo di Romano Prodi e che di recente era dato in corsa per la segretaria generale del Quirinale al posto di Ugo Zampetti). Ma la vera mossa a sorpresa sarebbe quella di far cadere la scelta su Filippo Patroni Griffi, ministro per la Pubblica amministrazione nel governo di Mario Monti. Il profilo del candidato e le modalità con cui verrà indicato – è la percezione diffusa al Consiglio di Stato – daranno la cifra delle reali intenzioni del governo sul futuro della giustizia amministrativa nel suo complesso. E’ prassi che il presidente venga scelto dal Consiglio di Presidenza del Consiglio di Stato che ormai da sempre si orienta sulla base del criterio di maggiore anzianità dei candidati. Ma il governo potrebbe decidere per la discontinuità rivendicando il diritto a procedere autonomamente alla nomina che gli compete in base alla legge.
“Questa nomina è una buona occasione per valorizzare il merito, l’attitudine ad interpretare una giustizia amministrativa del terzo millennio. E dunque in buona sostanza di innovare in base ad un approccio riformatore”, dice Pierluigi Mantini, membro laico del Consigliio di presidenza. Che aggiunge. “Non neghiamo che ci sia bisogno di una riforma, ma non può passare il concetto che i tar siano il male assoluto. C’è uno spazio significativo di interlocuzione e qui dentro ci sono tante forze nuove disponibili a un confronto utile a delineare il futuro: per usare una metafora non c’è bisogno di usare la ruspa, ma semmai del cacciavite”.
In quest’ottica, un profilo come quello di Patroni Griffi agevolerebbe il confronto con Palazzo Chigi, principale interlocutore istituzionale del Consiglio di Stato che ha per così dire una natura ibrida: da un lato giudice di seconda istanza delle decisioni del tar, dall’altro unico organo consultivo del governo. Centrale, in vista di una riforma complessiva della giustizia amministrativa, proprio il nodo delle competenze. “Ridurremo il loro raggio d’azione, non possono decidere su tutto”, ha detto qualche giorno fa Renzi a proposito dei tar davanti agli industriali riuniti a Cernobbio per il forum Ambrosetti. Le strade praticabili sono diverse e tutte impervie: esclusa l’ipotesi drastica di abrogare i tar, pare poco accreditata anche l’ipotesi di restringere le materie su cui sia possibile fare ricorso. Più agevole un intervento mirato come quello in materia di appalti, che ruoterebbe attorno ad un meccanismo in cui i contratti possano proseguire, salvo la previsione di un risarcimento del danno nel caso in cui venga accertato alla fine del giudizio un vizio di illegittimità relativamente all’affidamento. Poi c’è la questione che riguarda l’interesse pubblico e la necessità di mettere al riparo le scelte che hanno a che fare con interessi strategici: da tempo è in corso un dibattito ai massimi livelli istituzionali su come equipare gli atti di “alta amministrazione” a quelli di natura politica come tali sottratti al controllo giurisdizionale, sebbene non a quello penale.