Nel discorso sullo stato dell’Unione di Jean-Claude Juncker ci sono state belle promesse, progetti ambiziosi e battute di spirito, ma ancora una volta è mancata fantasia e cuore.
Com’era prevedibile, la maggior parte del discorso del presidente della Commissione europea al Parlamento europeo di Strasburgo ha riguardato l’immigrazione, l’emergenza che rischia davvero, moto più della crisi greca, di far implodere l’Unione europea facendo venire a galla il suo male peggiore: non i problemi di bilancio ma gli egoismi degli Stati nazionali. Juncker ha esposto un progetto ambizioso di ripartizione dei migranti e di asilo comune europeo, un progetto per il quale Bruxelles è costretta ad andare a rilento visti i veti incrociati delle capitali europee.
Bene, bravo, bis. Sull’immigrazione come su altre cocenti questioni europee, le istituzioni Ue hanno posizioni per molti versi condivisibili. Quello che manca, al di là di un chiaro mandato normativo per attuarle – dovuto alla ristrettezza di autonomia concessa a Bruxelles da trattati europei ancora troppo improntati a un approccio interistituzionale anziché comunitario – è il carisma politico di chi queste misure cerca di attuare.
Il discorso di Juncker sullo stato dell’Unione europea sembra la brutta copia alla lontana del discorso sullo State of the Union di Obama negli Stati Uniti. Non solo per i contenuti quanto per lo spessore politico e l’abilità di parlare al cuore di tutti gli europei. Su una maggior integrazione europei ci sono trattati, dossier ed high level group. Quello che manca sono politici che sappiano incarnare e rappresentare questa visione politica. Finché non ci sarà una vera élite politica europea, proveniente da tutti i suoi Stati membri, il “linguaggio Ue” resterà roba da “euroburocrati” e continuerà a riecheggiare all’interno di quella “European bubble” che tra Bruxelles e Strasburgo rischia oggi di scoppiare.
@AlessioPisano
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