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In Trentino il problema “pesticidi” e salute pubblica sembra essere di importanza davvero marginale. È proprio di queste settimane il provvedimento della provincia autonoma di Trento, che toglie il limite della distanza minima di 50 metri dalle abitazioni, per irrorare meccanicamente con pesticidi le coltivazioni. Così le buone mele del Trentino, famose in tutto il mondo, potranno crescere bene! Magari, però, saranno mangiate all’estero o altrove, perché la preoccupazione per l’incidenza tumorale di questo uso sconsiderato di veleni è molto alta negli abitanti della zona; la provincia stessa occulta i dati addirittura ai consiglieri provinciali che ne fanno richiesta, alimentando così i sospetti, peraltro tutti da verificare. Infatti, la richiesta di accesso ai dati relativi ai casi di tumore per singolo comune, inoltrata dal consigliere provinciale Filippo Degasperi del M5S al Dipartimento salute e solidarietà sociale e quindi all’Apss, è stata respinta. Più trasparenza di così, si muore!

L’uso dei pesticidi in Trentino, terra di autonomia, dove l’agricoltura è un settore rilevante e importante, è smisurato. Questa non è un’opinione, ma un dato di fatto oggettivo. Citiamo, da fonte Ispra 2012: “… Analizzando i dati, infatti, la Provincia di Trento risulta essere la seconda realtà con la maggior quantità di principi attivi su superficie agricola con i suoi 10,2 chili per ettaro: Molto più del doppio della Provincia di Bolzano (che si ferma a 3,8 chili per ettaro) e della media italiana (4,8 chili per ettaro). Il Trentino è secondo nella classifica per “maglia nera” solo al Veneto che nel 2012 raggiungeva i 10,6 chili per ettaro ma c’è un ma: in Veneto nel 2005 il dato toccava il picco di 13,2 chili per ettaro mentre in Trentino era fermo a 8,7. Dunque negli ultimi dieci anni il Veneto è riuscito gradualmente a ridurre l’utilizzo di fitofarmaci in agricoltura mentre in Trentino, se possibile, si è addirittura aumentato”. E la politica provinciale che fa? Abbassa i limiti delle distanze tra le abitazioni e le zone di irrorazione, portandole addirittura a 5 metri in alcuni casi. In altre regioni vige la distanza minima di 50 metri dalle abitazioni, che già è poca; in Trentino, siccome siamo autonomi, autonomamente possiamo chiudere le finestre di casa, per limitare l’ingresso dei pesticidi! Ottima soluzione direi.

Ma il problema non riguarda solamente l’immediato dell’irrorazione, bensì il peso vero e proprio che questi pesticidi hanno sul ciclo della vita di piante, animali e biodiversità. È cosa nota che tali inquinanti cadono nel terreno, si legano alle acque che scorrono nel sottosuolo e portano l’inquinamento a chilometri e chilometri di distanza; l’acqua viene bevuta da animali, pesci e bestiame da allevamento, quindi indirettamente tornano sulla nostra tavola e noi ingeriamo questi veleni.

L’abuso di pesticidi, in una terra che si professa all’avanguardia, rappresenta una sconfitta della politica agricola biologica; politica che si riempie la bocca di slogan promozionali, ma poi nel concreto non attiva percorsi virtuosi per abbassare l’uso di veleni e per limitarne la diffusione. Ecco, quindi che la gente si mobilita, preoccupata di una situazione che sta degenerando. Nascono comitati per la salute pubblica e associazioni civiche apolitiche che promuovono incontri con esperti di settore per capire e proporre alternative.

Intanto, in Trentino, si occultano i dati e si privilegia l’interesse economico al benessere collettivo e alla tutela ambientale. Segnalo una petizione on line, su Change.org, avviata da associazioni ambientaliste locali, senza colore politico, per chiedere alla politica locale di introdurre una prospettiva di sviluppo agricolo sostenibile, a salvaguardia della salute di tutti. Teniamo alta la guardia per poter far arrivare, sulla nostra tavola, cibi sani, non solo perché lo dice l’etichetta, bensì perché i percorsi che li portano a noi, siano davvero ecosostenibili.

La petizione on line è qui.

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