Quel giorno, poche ore prima di sparire per sempre, aveva ricevuto il “pagellino” ed era “contentissima perché aveva preso voti bellissimi“. Sono le ultime immagini che Maura Panarese ha di sua figlia, Yara Gambirasio, scomparsa quel 26 novembre 2010 nei pressi della palestra di Brembate di Sopra e ritrovata cadavere tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un Campo di Chignolo d’Isola, in provincia di Bergamo.
Maura Panarese racconta quelle ultime ore sorridendo nell’aula della Corte d’assise di Bergamo dove è chiamata insieme ad altri familiari a testimoniare al processo contro Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello accusato di essere il killer della 13enne, che per la prima volta è uscito dalla gabbia degli imputati e si è seduto accanto ai suoi avvocati, in camicia bianca a maniche corte e jeans. A carico del presunto assassino, pesano le tracce di Dna trovate sul cadavere di Yara che – secondo gli inquirenti – sono identiche alle sue.
Dopo avere descritto la settimana tipo di Yara, rispondendo alle domande del pm Letizia Ruggeri, Panarerse ha cominciato a raccontare nel dettaglio che cosa accadde quel giorno. Yara stava facendo i compiti e avrebbe dovuto portare uno stereo in palestra, dove seguiva gli allenamenti di ginnastica. “Mamma abbiamo un sacchetto?”, chiese. Maura Panarese rispose con una battuta: “Figurati se guardano tutti te che porti lo stereo”.
Poi, Panarese ricorda in aula l’attesa appena si accorse che Yara era in ritardo rispetto a quanto avevano stabilito. La telefonata al cellulare. Due, tre squilli. Poi la segreteria telefonica. Poi le voci dei responsabili della palestra: “Yara è uscita verso le 18 e 30”. Infine quelle dei carabinieri, per denunciare la scomparsa.
Mentre il padre Fulvio Gambirasio si è commosso più volte: “Era il collante, il sale della nostra famiglia, ogni cosa la faceva con una capriola, una giravolta. Era sempre allegra e sorridente”. “Quando Yara non tornò a casa – ha proseguito – ho passato notti intere a pensare se potevo aver fatto del male a qualcuno. E io sono una persona che non ha mai fatto del male ad altre persone e conosco molta gente. Quando fui informato del fermo, chiesi a mia moglie di dirmi il nome e, quando mi è stato detto, mi sono sentito per certi versi risollevato“.