“Mio Dio, come sono caduta in basso” (Comencini, 1974). Dovrebbe essere il lamento dell’Italia dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue che ha spiegato:
C) La complicità con i delinquenti ha tuttavia un effetto collaterale per l’Ue: le fa perdere un sacco di soldi per Iva frodata, cosa non più tollerabile.
D) Almeno nel settore penale-tributario è dunque necessario mettere l’Italia sotto tutela.
E) Ciò si può fare obbligando i giudici italiani a non applicare leggi dissennate che sono in contrasto con i trattati europei.
F) In particolare essi non devono, dall’8 settembre in avanti, applicare la normativa penale in materia di prescrizione nei processi per frode all’Iva.
Renzi&C. non hanno idea di quello che gli sta capitando. In particolare non hanno letto la sentenza nella parte in cui dice: “L’art. 325 prevede che l’Ue e gli Stati membri combattano la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Ue”. Dunque non solo la frode prevista agli artt. 2 e 3 della legge 74/2000 (scritta apposta per garantire l’impunità alle partite Iva che evadono) ma anche l’attività illegale di cui agli artt. 4 e e 5 della stessa legge (dichiarazione infedele e omessa dichiarazione), punite con la risibile pena di anni 3 di reclusione, cioè non punite non solo per via della prescrizione ma anche per ordinamento penitenziario che garantisce l’impunità a pene non superiori a 3 anni.
Che dichiarazione infedele e omessa costituiscano attività illegali non è discutibile: sono reati. Che ledano gli interessi finanziari dell’Ue è evidente: il “nero” sottrae Iva per un ammontare pari al 22% delle somme non dichiarate. Poiché, secondo il ministero delle Finanze, l’evasione alle imposte dirette è pari a 150 miliardi di euro all’anno; e poiché essa presuppone un “nero” di circa 300 miliardi, l’Iva evasa ammonta, più o meno, a 60 miliardi all’anno.
Nemmeno hanno letto la parte in cui la Corte precisa che “L’art. 1 della Convenzione Pif (Protezione Interessi Finanziari dell’Ue), prevede che costituisce frode l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi”. Dunque, che un Parlamento corrotto e un governo complice continuino da 15 anni a considerare il “nero” una dichiarazione infedele e non una frode è semplicemente in contrasto con questa Convenzione. Chi fa “nero”, infatti, presenta una dichiarazione falsa avvalorata da documenti falsi (la contabilità falsa perché non vi è stato annotato il “nero” che, guarda caso, fa prova nei confronti del Fisco che deve lui provare che è falsa; proprio come avviene per le fatture per operazioni inesistenti).
Infine non hanno letto la parte in cui si precisa che, a norma dell’art. 2 Pif, si considera frode grave, meritevole di pene privative della libertà personale (in concreto e non in astratto), quella che supera l’importo di 50.000 euro. Considerato che la delega fiscale innalzerà la soglia di punibilità a 150.000 euro e dunque a 300.000 euro annui di “nero”, la violazione della Convenzione è duplice: il “nero” dovrebbe essere considerato frode perché sostenuto da documenti e dichiarazione falsi; e frode “grave” anche se il generosissimo governo italiano nemmeno lo considera reato se inferiore a
300.000 euro all’anno.
A questo punto, vista la giurisprudenza, qualche altro giudice, dopo quelli di Cuneo che hanno sollevato per primi il problema (bravissimi!), rappresenterà in sede Ue questi profili di flagrante violazione alle norme comunitarie. E, a quel punto, i livelli di abiezione di Renzi &C. sarebbero ben superiori a quelli della bellissima Laura Antonelli.
Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2015