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Due carabinieri hanno finalmente parlato. Hanno raccontato che quel giorno di ottobre del 2009 in cui Stefano Cucchi fu portato nella loro caserma, un maresciallo aveva concitatamente detto loro che un ragazzo era stato massacrato. Ci sono voluti sei anni.

Gli audio raccolti nel corso delle indagini difensive e resi pubblici in queste ore sono sconvolgenti. Grazie all’avvocato Fabio Anselmo, grazie a Ilaria Cucchi, grazie a tutti coloro che in questi anni non si sono fermati, a coloro che sono andati avanti, che hanno finalmente regalato all’Italia una possibilità di verità. Quegli audio sono sconvolgenti perché ci parlano di un ragazzo nelle mani dello Stato contro il quale i funzionari si sono accaniti senza senso. Ma sono sconvolgenti anche perché ci parlano dell’omertà e dello spirito di corpo che regna tra le forze dell’ordine e che da quasi chiunque viene dato per scontato. Perché quei due carabinieri non hanno parlato prima, quando giornali, piazze e aule di tribunale erano piene del cosiddetto caso Cucchi?

Vi racconto una storia assurda, che con quella di Stefano condivide l’inizio e la fine: un ragazzo arrestato è considerato da chi lo ha in custodia un rompiscatole. Lo mandano in un carcere che ha la chiara fama di essere un istituto punitivo. Là viene picchiato ripetutamente. Un giorno il ragazzo ingoia per protesta un paio di forbici. Le forbici si incastrano da qualche parte nell’esofago e restano lì. Solo a quel punto, la persona che dirige l’istituto va dagli agenti di polizia e dice loro di non picchiarlo mai più: le forbici potrebbero conficcarsi nella carne e l’uomo potrebbe morire. Il detenuto ha vinto, ha ottenuto il suo scopo: mangiare le forbici ha funzionato. Tutti sapevano. Tutti facevano finta di non sapere. Fare finta di non sapere è scontato.

Come lo è stato per sei anni per quell’uomo e quella donna appartenenti all’Arma che oggi hanno deciso di parlare. Ringrazio anche loro. E mi auguro che abbiano preso questa decisione per motivi di coscienza non più rinviabili.

Qui la petizione de Il Fatto Quotidiano

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