I carabinieri che collaborano con i pm denunciano falsi verbali d’arresto. "Un collega disse al comandante che l'avevano picchiato", ma lui nega tutto. Nuova perizia sulla frattura lombare: “Fu nascosta”
“Mandolini s’è presentato che glie se stava a strigne il sederino. Lo volevano scarica’ come fosse ‘na valiggetta”. La “valiggetta” sarebbe Stefano Cucchi. A parlare è una carabiniera, che nei giorni dell’arresto del ragazzo era in servizio alla stazione di Tor Vergata, a Roma. Le sue parole, che il Fatto ha ascoltato e che sono depositate nell’inchiesta bis della Procura di Roma sulla morte del giovane, sono incise in una registrazione. Davanti all’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, il 14 maggio scorso la donna ha raccontato tutto ciò che sapeva sul caso. Nella sua deposizione – tutta da verificare – tira in ballo due figure: il comandante della stazione di Tor Vergata, luogotenente Enrico Mastronardi, (mai citato nell’inchiesta nè indagato) e il maresciallo Roberto Mandolini, che all’epoca dei fatti prestava servizio presso la stazione Appia e che ora è indagato – nell’ inchiesta bis – per falsa testimonianza. Non solo. La donna, insieme a un collega, racconta anche gli scontri interni alla caserma e un caso di verbali di arresto falsi. Solo accuse per ora, tutte da verificare.
Le registrazioni dei testimoni – Ma partiamo dalla deposizione. “Ero in corridoio con il comandante – racconta la carabiniera –. Arrivò Mandolini, che non conoscevo, in evidente stato di agitazione e disse a Mastronardi che i carabinieri avevano massacrato di botte un ragazzo”. Lei non conosceva Stefano Cucchi, nè lo sente nominare allora. Ricollega la faccenda una settimana dopo, quando il ragazzo muore. La donna poi aggiunge che Mandolini non fece i nomi di chi avrebbe “massacrato” Cucchi: “Credo quelli che avevano operato l’arresto. Disse che non si erano regolati, a livello fisico. Cercavano di scaricarlo, ma nessuno si prendeva la responsabilità di prenderselo conciato così”. I due, a detta della signora, si chiusero poi nell’ufficio del comandante.
La versione della donna viene confermata dal collega che con lei era in servizio a Tor Vergata: entrambi hanno avuto problemi in quella caserma e da cinque anni non lavorano più lì. Il Fatto ha ascoltato anche questa deposizione registrata e depositata in Procura. Racconta l’appuntato: “Quel giorno si presentò con passo veloce e la faccia tesa. Gli chiesi: ‘Come stai?’. Mi disse: ‘I ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato, è successo un casino’. Ho appreso solo dopo tramite i giornali che c’era stata la morte di Cucchi”. L’uomo tira in ballo – anche queste accuse da verificare – anche il figlio del comandante, maresciallo: “Parlando del caso Cucchi, una volta esploso, mettendosi la mano sulla fronte, scuoteva il viso come a dire: ‘Ho visto ‘sto ragazzo proprio male, massacrato di botte’. Non sono sicuro che facesse servizio a Tor Sapienza o là vicino. So che nella notte dell’arresto ha visto Cucchi”.
Carte inquinate e beghe di caserma – I due carabinieri hanno deciso di parlare dopo le assoluzioni di secondo grado, nell’ottobre 2014. E raccontano anche altro. Non hanno lasciato la caserma con serenità, ma nelle registrazioni hanno parlato anche di insulti e verbali di arresto falsi. Accuse di cui ora, dopo quella militare, potrebbe occuparsi la Procura ordinaria. Dice la donna: “Il rapporto di fiducia si è incrinato, perché lui (Mastronardi, ndr) pretendeva che io facessi dei verbali di arresto falsi: faceva comparire me rispetto all’agente operante”. La donna racconta di aver subìto insulti e sul collega aggiunge: “Lo stanno massacrando. Mastronardi pretendeva che facessi annotazioni di servizio rispetto a lui dicendo che è pazzo, violento. Mi sono rifiutata”.
Anche il carabiniere racconta come i rapporti a Tor Vergata “si sono guastati quando ho cominciato a vedere atteggiamenti poco chiari. (…) Io mi sono visto messo in un verbale d’arresto quando ero a riposo”. Qui la storia si complica: il carabiniere – nell’ambito di un procedimento per ora poco chiaro – ha subito una perquisizione. Contattato dal Fatto, Enrico Mastronardi ha ammesso di aver incontrato Mandolini, ma non gli avrebbe riferito nulla: “Qualora mi avesse riferito un qualsiasi reato, lo avrei trascinato direttamente dai magistrati. Questi signori possono dire quello che vogliono, ne risponderanno”.
La perizia e gli interrogatori – Intanto in Procura nei mesi scorsi è stato convocato Mandolini che si è avvalso della facoltà di non rispondere. Anche Mastronardi è stato sentito. I Cucchi hanno consegnato una nuova perizia medico-legale sulla frattura della terza vertebra lombare, che per Anselmo era conseguenza del pestaggio ma secondo i periti della corte non c’era. Scrive il professor Carlo Masciocchi: “Le fratture riscontrate possono essere definite in modo temporale come recenti o comprese in una finestra temporale entro i 7-15 giorni”. Ai periti del collegio sarebbe stata nascosta mezza vertebra: “Penso – scrive Masciocchi – che sia stato tagliato il soma di L3”.
dal Fatto Quotidiano di sabato 12 settembre 2015