Jeremy Corbyn è il nuovo segretario del partito laburista britannico. A eleggerlo è stata la base del partito e non i parlamentari, che invece hanno mostrato di preferire gli altri candidati. Non bisogna sorprendersi, Corbyn minaccia di rivoluzionare il partito e di cancellare i segni di New Labour.
Ad ascoltare uno dei più agguerriti oppositori della politica di austerità nel Regno Unito e nel resto dell’Europa, tornano in mente i discorsi di Zapatero prima della sua elezione a segretario del partito socialista spagnolo. Anche Zapatero piaceva alla base del partito perché era una faccia pulita, un leader idealista, un puro, che ancora credeva nei valori di uguaglianza del socialismo, e quindi distante anni luce dal New Labour di Tony Blair che dagli anni Novanta imperversava in Europa. Sicuramente Corbyn piace perché è genuino, pieno delle idee giuste.
E come Zapatero non ha nulla in comune con Tony Blair che ha dichiarato che se il cuore del partito è con Corbyn allora c’è urgente bisogno di un trapianto. L’antipatia è reciproca, perché il nuovo leader pare sia pronto a rivisitare il capitolo più oscuro della storia britannica degli ultimi vent’anni: le menzogne fabbricate per invadere l’Iraq. A quel punto il partito laburista potrebbe chiedere scusa agli iracheni e al mondo per quanto è successo.
Riuscirà Corbyn dove Zapatero ha fallito? Riuscirà a far rinascere un sano dualismo politico in Gran Bretagna riportando il dibattito politico dentro l’arena delle idee, lontano dai compromessi finanziari, dalle lobby economiche e dai voleri e capricci di Bruxelles? La crisi del debito sovrano, quella scoppiata nel 2010, ha tarpato le ali a Zapatero. A decidere le sorti della Spagna è stata la signora Merkel, i leader europei che pendono dalle sue labbra e gli euroburocrati di Bruxelles che non aspettavano altro; Zapatero come Tsipras non era uno di loro quindi bisognava epurarlo.
Non dimentichiamoci che dal 2010 al 2012 l’unico leader europeo che si rifiutò di imporre una politica di austerità demenziale fu Zapatero, e uno dei motivi per i quali la Spagna non e finita come la Grecia è perché Zapatero ha resistito alle pressioni di Bruxelles per due lunghi anni. Naturalmente la ricompensa fu l’isolamento all’interno del Consiglio d’Europa.
Jeremy Corbyn si trova in una situazione diversa, non ha vinto ‘per motivi eccezionali’ le elezioni e quindi è all’opposizione e non deve fare i conti tutti i giorni con Bruxelles e con la Merkel. Ma è un leader che ha rispolverato alcuni principi del socialismo in una paese dove il tasso di crescita del Pil nel 2015 potrebbe superare il 3 per cento, quindi non sarà facile attaccare la politica economica dei Tory.
Per capire se al contrario di Zapatero la spunterà bisognerà vedere come giocherà i suoi due jolly: le profonde diseguaglianze ormai visibili in tutto il Regno Unito e la crisi dei profughi. Due temi più volte menzionati durante la campagna per l’elezione a leader del partito.
Tra i cavalli di battaglia di Corbyn, dunque, c’è il tema delle diseguaglianze economiche. Anche Zapatero ne parlava spesso e oggi Podemos e Syriza non hanno paura a pronunciare frasi come ‘abbiamo bisogno di una redistribuzione dei redditi’, una frase impensabile dai tempi di Ronald Reagan, quando il mantra di tutti i partiti politici era ‘non alzeremo le tasse’.
In questo continente preso d’assalto da chi sta ancora peggio di noi ormai tutti sono perfettamente consapevoli che non siamo poveri, siamo solo diseguali proprio a causa di quell’assurdo mantra fiscale. La ricchezza c’è, i soldi ci sono ma da quando si è saldata “l’alleanza del potere” tra grande capitale, sistema di informazione e politica, la ricchezza scivola di mano al fisco come fosse un’anguilla.
C’è un terzo elemento da tener presente, il clima politico nel vecchio continente. Corbyn è anche il leader del partito che in un certo senso ha regalato il modello di socialismo politico all’Europa, e non è detto che il vento che dalle fabbriche della Rivoluzione industriale soffiava verso sud oggi non si rialzi. Una voce sicura, forte e determinata a Londra potrebbe aggregare la nuova sinistra europea, sparpagliata in diversi paesi.
Quest’anno, non lo dimentichiamo, si vota in molte nazioni, alle urne andranno popoli che hanno toccato con mano i mali dell’austerità, e nelle liste elettorali compariranno i simboli dei partiti del nuovo socialismo europeo, infinitamente più radicali di quelli vecchi, che negli anni Novanta seguirono l’esempio di Blair e per essere eletti saltarono la staccionata politica da sinistra a destra, diventando i paladini dell’alleanza del potere.
E se in gran parte d’Europa vincesse la nuova sinistra? Una domanda, che solo qualche anno fa sarebbe sembrata assurda, alla quale non possiamo rispondere, ma almeno l’elezione di Corbyn nel Regno Unito oggi ci permette di formularla.